CIVITAVECCHIA – "Apó n'orata!"...e tutti i pescatori del molo a guardare in acqua per cercare di capire la taglia del pesce che qualcuno stava cercando di tirare su. Livio "le magnate" le vedeva tutte, le sue e quelle degli altri e gioiva per ogni meritevole esemplare offerto dal mare di Civitavecchia, dal suo mare. Aveva la situazione costantemente sotto controllo, a qualsiasi ora: la mattina in motorino raggiungeva il punto più appetibile per buttare in acqua qualche bigattino attaccato all'amo e fino alle 11 la pesca lo prendeva totalmente. Poi arrivava l'ora di pranzo e poco prima delle 15 la sua canna da pesca tornava operativa, fino al tramonto.

Il Chiodo, la Frasca, la Buca di Nerone e lo Scalo Matteuzzi per lui non avevano segreti, come pure il Marangone, Sant'Agostino, la Marina e l'Antemurale: conosceva la profondità e la pescosità di ogni fondale, si attrezzava alla meglio ogni giorno per riuscire a collezionare delle buone catture. Se ci riusciva, bene, altrimenti ci riprovava.

Livio Morucci era fatto così, un uomo mite, benvoluto da tutti. Non era un chiacchierone, diceva l'essenziale ma possedeva un'invidiabile ironia pungente capace di spiazzare chiunque in mezzo secondo. Al porto, poi, giocava un ruolo di primo piano. D'altronde, quando ogni giorno per circa sessant'anni peschi su quasi tutti i moli dello scalo, le ordinanze che cambiano nemmeno ti sfiorano e l'amore per la pesca spazza via ogni tentativo da parte dell'invidioso di turno di metterti all'angolo utilizzando l'arma della spiata per favorire la penna inflessibile dell'autorità.

Spesso i crocieristi lo fotografavano mentre pescava, piacevolmente colpiti da quell'uomo dagli occhi azzurri e dalla pelle scurita dalle ore passate sotto il sole con una canna in mano, attratti da tanta genuinità racchiusa tra i sofisticati colossi del mare. Perché chi arriva in nave dopo aver visto solo acqua e benessere su una nave da crociera, una volta a Civitavecchia preferisce mille volte osservare il romantico pescatore di una volta che imbattersi negli improbabili frutti del progresso che hanno trasformato il porto in un qualcosa sicuramente all'avanguardia ma distante anni luce dal concetto di comunità. Piaccia o meno a chi tira i fili. Non esiste portuale che non abbia conosciuto Livio, che non lo abbia incontrato almeno una volta in banchina, che non abbia scambiato con lui due parole e non abbia apprezzato la sua semplicità.

I pescatori civitavecchiesi, poi, erano tutti fratelli, li conosceva uno per uno e li chiamava per nome. Una memoria di ferro nel ricordare luoghi, persone e fatti legati soprattutto al mondo della pesca civitavecchiese. Problemi ne aveva, il suo cuore da anni non batteva più come una volta, ma per Livio tutto era risolvibile, l'importante era starsene tranquillo a pesca con i suoi amici e spesso anche con i suoi fratelli.

Ha vissuto sempre così, esulando come un bambino per un bel pesce catturato (come fece lo scorso anno quando con un pezzetto di pollo attaccato all'amo riuscì a fregare un grosso cefalo mentre gli altri pescatori da ore erano in attesa di vedere il galleggiante affondare) e richiudendo l'attrezzatura dopo un cappotto, già pronto a rifarsi alla pescata successiva, senza disperarsi né scoraggiarsi, come solo un fuoriclasse sa fare. Ci siamo salutati pochi giorni fa, poi la notizia sconvolgente: "Livio sta molto male".

E alla fine il triste epilogo: "Il nostro amico non c'è più". Tra gli scogli, al molo San Teofanio, alla Nove e a Sardegna il tempo si è fermato: solo lacrime, cuori e messaggi di cordoglio per onorare un pescatore semplice che ha sempre conservato i tratti della vera signorilità tra le pieghe della sua infinità umiltà. Non sapevo che non ci saremmo più rivisti, magari ti avrei salutato diversamente e detto qualcosa in più come ad esempio "grazie". Addio amico mio, caro e dolce Livio. Che tu possa pescare libero e felice nell'azzurro sconfinato che ti ha accolto.