CIVITAVECCHIA – In una recensione apparsa sulla “Rivista marittima” del 1949 rivolta ad un saggio intitolato “Il Merluzzo”, apparso sul “Bollettino di Pesca” dello stesso anno, si descrivevano i gusti italiani verso il baccalà: “vi sono i tipi salinato, lavato, pressato, secco. In Italia, secondo la richiesta delle varie piazze, sono mandati baccalà di taglio differente: piccolissimo, piccolo, medio, grande. Ad esempio, a Civitavecchia si richiede il primo tipo, a Napoli l’ultimo, a Roma il piccolo”.
Le donne civitavecchiesi forse preferivano il taglio “piccolissimo” per preparare il “baccalà spinozzato” (anche “spinuzzato” o sminuzzato) piatto tipico della nostra città, come ben ricorda Carlo De Paolis nel suo basilare “Breviario di Cucina Civitavecchiese”.
Lo stretto legame fra il baccalà e Civitavecchia ha origini antiche che risalgono almeno al XVI secolo quando i pescherecci del porto bretone di Saint-Malo approdavano nel nostro scalo per vendere alla popolazione locale il “pesce della quaresima” e cioè il baccalà e ripartivano per la Francia carichi dell’allume che si estraeva dai vicini Monti della Tolfa. Lo documenta lo storico francese Jean Delumeau nel suo prezioso libro “L’allume di Roma. XV-XIX secolo”.
Scorrendo il “Diario di Roma” del 1803 vediamo che da Civitavecchia per Roma partivano piccole imbarcazioni, trabaccoli o feluche, che trasportavano baccalà e stoccafisso, aringhe e salacche, giunte dai mari del nord a bordo di grandi vascelli che non potevano risalire il Tevere ed approdare al Porto di Ripetta. Certamente una piccola parte di quei carichi rimaneva nei depositi civitavecchiesi serbati per sfamare la popolazione locale. Nel 1850 nel nostro porto furono sbarcate circa 390.000 libbre di pesce salato (pari a 132 tonnellate), fra baccalà, stoccafisso ed altro.
Cento anni fa, Mussolini dichiarò aperta la “guerra del grano” per ridurre la sua importazione dai paesi esteri. Pochi anni dopo un’altra guerra economica fu dichiarata dal duce: quella del pesce. Si voleva rifornire il mercato interno, soprattutto le grandi città del nord, di pesce fresco o conservato, pescato e lavorato dalla flotta e dall’industria nazionale.
Ad essere scelto come primo fronte di questa battaglia autarchica fu il porto di Civitavecchia dove furono create alcune società proprietarie di pescherecci oceanici che andavano a pescare nell’Atlantico. Nacque così l’Industria Pesca e Sottoprodotti IPES e la Società Italiana Pesce Oceanico Conservato SIPOC che aprì uno stabilimento in via Bixio 2, per la lavorazione dei dentici pescati nell’oceano e che addirittura lanciò sul mercato la zuppa di pesce in scatola. Più tardi nel 1934 fu creata la Società Anonima Industria Italiana Merluzzo SAIM con capitali italo-francesi, stessa sede in via Bixio con oggetto sociale “produzione baccalà in tutti i tipi; filetti di baccalà in scatole”. Dirigenti civitavecchiesi erano Ezio Matteuzzi, consigliere d’amministrazione, ed Espartero Melchiorri, direttore dello stabilimento. Nel “Annuario industriale di Roma e del Lazio” (1938) leggiamo che “è notevole l’industria della lavorazione del merluzzo sorta da poco (1934) a Civitavecchia. Non ostante la recente data di costituzione, la società che esercisce tale industria (SAIM) si può considerare la principale seccheria di merluzzo d’Italia, sia per potenzialità di impianto che per disponibilità di magazzino e perfezione di impianti frigoriferi. In un anno la SAIM lavora circa 25.000 quintali di pesce, ripartiti nelle varie qualità; il merluzzo lavorato viene venduto in tutta Italia, anche se lo sbocco principale della produzione resta il Lazio e la Toscana”. Anche il “Bollettino di Pesca, di Piscicoltura e di Idrobiologia” del 1936 cita la fabbrica del baccalà: “A Civitavecchia, ove esiste un moderno impianto di seccheria, lavora in continuazione oltre un centinaio di operai che rappresentano altrettante famiglie che beneficiano dell’attività di un’azienda che venne anche segnalata attraverso una opportuna proiezione cinematografica Luce”.
Nello stesso bollettino veniva citata la “Società Pesca Atlantica G. Capaccioli con 7 unità che hanno base d’armamento Civitavecchia, che rifornisce in piccola parte il mercato ed in gran parte le industrie conserviere (dentice e tonno sott’olio)”.
Non posso concludere questa storia del baccalà a Civitavecchia non ricordando un luogo magico dove si poteva gustare un ottimo baccalà cucinato in mille modi diversi: la “Taverna del Moro”, regno di Angelo Possenti e di Annalisa Tomassini.
Chiudo con l’augurio ai miei lettori di buon Natale, con la speranza che, quando gusterete alla Vigilia il tradizionale fritto di baccalà, ricordiate quanta storia c’è dietro quel delizioso boccone dorato. Buone Feste e buon appetito!


