PHOTO
CIVITAVECCHIA – A quasi vent’anni dalla scoperta dei dipinti patriottici custoditi all’interno delle Casermette dell’ex Poligono del Genio, la questione è al centro del dibattito politico cittadino. L’architetto Francesco Correnti - per quarant’anni alla guida dell’Ufficio Urbanistico del Comune e dal ’92 ispettore onorario del Ministero oggi della Cultura e quindi della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la provincia di Viterbo e l’Etruria meridionale - chiarisce il suo punto di vista. «Dato che l’edificio era abbandonato da anni, la Soprintendenza, nella normale verifica periodica dello stato dei beni vincolati, ha programmato di venire a controllare la decorazione pittorica del Genio e mi ha chiesto di avvertire cortesemente l’amministrazione comunale con un mese di preavviso, per predisporne l’apertura. Cosa che ho fatto con una garbata lettera, certo che la cosa sarebbe stata condivisa».
Correnti, che nel 2005 scoprì le pitture insieme all’allora sindaco Alessio De Sio e ne avviò la procedura di tutela, è molto dispiaciuto: «Voler continuare sulla strada delle demolizioni che hanno privato la città di beni d’ogni tipo non è un metodo condivisibile ai nostri giorni. In quelle pareti è custodito un documento d’arte e una pagina della storia di Civitavecchia. Quel luogo va valorizzato data la sua vicinanza a importanti istituzioni, e così i dipinti, e qui, non altrove. La Casermetta può restare al suo posto, va salvata, non cancellata, perché l’area libera intorno consente qualsiasi soluzione progettuale per realizzare nuove grandi costruzioni, una volta che sia definita la destinazione urbanistica di quell’area, attualmente inedificabile, e gli indici edificatori utilizzabili».
Parole che arrivano dopo mesi di silenzi e di scontri sotterranei tra Soprintendenza e Comune. Nonostante il vincolo di tutela apposto nel 2020, la struttura versa oggi in condizioni di grave degrado, chiusa e non accessibile per la manutenzione che un bene vincolato comunque prescrive. La Soprintendenza ha chiesto due volte, a giugno e poi il 9 ottobre scorso, di poter effettuare un sopralluogo ma l’amministrazione Piendibene non avrebbe garantito l’accesso; il 9 ottobre furono proprio la soprintendente Margherita Eichberg, i funzionari Gloria Galanti, Luisa Caporossi, Annamaria Medici e lo stesso Correnti a rimanere fuori la struttura, in attesa di poter entrare. Nel frattempo c’è chi parla di una possibile “svendita” dei dipinti a strutture romane private. Un’ipotesi che ha contribuito anche alle dimissioni di Roberta Galletta da delegata alla valorizzazione del patrimonio culturale cittadino. «Insieme a Correnti – ha dichiarato – diciamo da anni che la Casermetta deve essere salvata, perché staccare i dipinti li danneggerebbe irrimediabilmente e li priverebbe del contesto edilizio per cui sono stati creati. Si parla invece di svenderli, per far cassa sulla nostra bellezza». La cifra necessaria per rimuoverli e restaurarli – circa 100.000 euro, la stessa stimata per il progetto edilizio che dovrebbe sostituire l’edificio – rende evidente, secondo Galletta, la sproporzione delle scelte: «Si preferisce distruggere piuttosto che investire nella memoria».


I dipinti delle Casermette, realizzati negli anni Trenta da due genieri, Boselli e Mastrangelo, rappresentano le specialità dell’Arma del Genio: pontieri, minatori, marconisti, guastatori. In uno dei due cicli, spicca una straordinaria “Pietà laica”, in cui la Madre Patria sostiene il corpo del Milite Ignoto avvolto nel Tricolore. Un unicum nel panorama artistico militare italiano, oggi esposto a infiltrazioni, crolli e all’incuria. «L’edificio – scriveva Correnti in un suo saggio – è in totale abbandono: porte e finestre murate, tetto crollato, pioggia che penetra. I dipinti, miracolosamente sopravvissuti, rischiano di sparire per sempre. Eppure appartengono alla collettività: sono un bene comune che la Repubblica tutela e valorizza ai sensi dell’articolo 9 della Costituzione. Abbiamo già perso troppo – ammonisce Correnti – la storia della città è fatta anche di muri, di segni, di arte minore che racconta il nostro passato. Se anche questi dipinti sparissero, non perderemmo solo delle pitture, ma un pezzo della storia cittadina».