CIVITAVECCHIA – Tra i coniugi Angelo M. di anni 31, cameriere a bordo del piroscafo postale “Justo”, della Navigazione generale italiana, e Zaira D.F. di anni 23, non sussisteva da qualche tempo la perfetta armonia: il marito, geloso all’eccesso della moglie, aveva il sospetto che questa la tradisse.

Il sospetto era inoltre avvalorato dagli amici, i quali avevano vigilato ed osservato la donna.

Angelo si mise in guardia ma per quanto vigilasse ed investigasse, non riuscì mai ad ottenere la prova decisiva.

Si susseguivano le liti con Zaira, finché lui decise di troncare il rapporto.

Un bel giorno, abbandonò la moglie e non si fece più vedere ma, forte delle spiate degli amici, la querelò per adulterio, che all’epoca era un reato grave che colpiva quasi sempre le donne.

Lei non si abbatté e contro querelò il marito per calunnia e diffamazione. La questione finì così in tribunale ma ancora il giudice non si era espresso. Intanto Zaira, con tre figli, due maschi e una femmina, era rimasta priva di mezzi.

Sbarcava miseramente il lunario grazie alla generosità dei parenti e con qualche piccolo lavoro.

La questura, più volte, aveva convocato il marito, invitandolo a fare il suo dovere di padre, fornendo il necessario almeno per i figli, ma Angelo era irremovibile.

Il 12 novembre 1903, in piazza Vittorio Emanuele, davanti al negozio di Santini, che aveva in vetrina varie rivoltelle, si fermarono Angelo ed un amico. Lui espresse il desiderio di acquistarne una, l’amico gli chiese a cosa gli servisse un’arma: “Che vuoi, può sempre fare bisogno!”.

La sera, Angelo si presentò in casa della moglie che abitava in piazza Cavour, nel palazzo De Filippi, all’ultimo piano.

Aveva con sé un cabaret di paste ed una bottiglia di champagne: fu gentile e conciliante, si dichiarò disposto a fare la pace.

Zaira, felice di questo cambiamento, lo accolse teneramente: era convinta che il marito avesse archiviato il passato e che fra i due fosse risbocciato l’amore di una volta. Dopo aver mangiato, i due andarono a dormire insieme.

La mattina, poco prima delle 7, i vicini udirono delle detonazioni.

Spaventati accorsero subito a vedere cosa fosse successo e si trovarono di fronte ad una scena drammatica: entrambi i coniugi giacevano a terra coperti di sangue.

Lui ripeteva: “Sono contento, perché così moriamo insieme!”.

Trasportati all’ospedale dalla Croce Bianca, i medici constatarono che entrambi erano feriti alla testa: lui aveva prima sparato all’orecchio della moglie, poi si era esploso un colpo alla tempia.

La voce che girava in città sosteneva che svegliatisi, Angelo avesse detto a Zaira:

“Il mio ed il tuo nome ormai sono disonorati, è una vergogna per due famiglie oneste. Non vi è luogo che io non sia deriso: uccidiamoci!”.

Alle parole erano seguiti i fatti, ma per fortuna i due erano rimasti solo feriti. In ospedale, si erano di nuovo riappacificati, tanto che il giornalista concludeva così la sua cronaca: “dopo l’accaduto, Angelo fu trovato vicino alla moglie che la baciava ed accarezzava teneramente”!

(dal Messaggero del 15 novembre 1903)

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