Un proiettile con tanto di minaccia lasciato sul parabrezza, in pieno centro, in un affollato sabato mattina. Un fatto dai risvolti ancora tutti da chiarire, quello accaduto ieri a Mario Benedetti, ma in ogni caso molto grave. Che deve far riflettere.

Un gesto intimidatorio,al di là di quale possa esserne l’origine, che nessuno pensa possa essere legata alla denuncia “politica” in sé, che rimane circoscritta a questioni di disservizi e degrado che nulla possono avere a che fare con un messaggio del genere, ma che dovrebbe comunque scuotere la coscienza di una comunità. E che invece si consuma in un silenzio quasi assuefatto, come se fosse “normale”. Non lo è. Non deve esserlo. E si deve andare fino in fondo per capire chi e che cosa ci sia dietro.

Nel frattempo, a poche decine di metri dal Palazzo del Pincio e dal commissariato di Polizia, un camper di rom ha staziona diversi giorni in largo Galli, nel cuore della città. Bivacchi all’aperto, bisogni fatti in mezzo alla strada, occhi che osservano le abitudini degli inquilini delle palazzine con inquietanti annotazioni in codice scritte su “pizzini”: scene che sembrano uscite da un film di periferia estrema, e che invece accadono sotto gli occhi di tutti. A due passi dal centro, nell’indifferenza generale.

Due episodi diversi, ma legati da un filo rosso che inquieta: Civitavecchia non è più la stessa. Una città dove tutto può accadere, nel silenzio — o nell’impotenza — delle istituzioni. Dove chi denuncia viene minacciato. Dove chi sporca, bivacca, molesta, può farlo indisturbato, anche a pochi metri dal commissariato. Dove la tranquillità e la sicurezza, che per decenni sono state un valore condiviso e una certezza diffusa, ora sono sempre più una percezione fragile, lontana, forse persa.

E la reazione? Nessuna. Non una parola ufficiale sulle minacce a Benedetti. Non una presa di posizione pubblica sul degrado di largo Galli, dove i residenti hanno segnalato tutto. Tutto scorre, e tutto si dimentica, come se la città fosse anestetizzata. E invece dovrebbe alzare la voce, prima che diventi troppo tardi.

Non si tratta solo di episodi. Si tratta del clima. Della percezione che Civitavecchia stia lentamente perdendo l’anima. Che dietro l’inerzia, le chiacchiere e le dichiarazioni, ci sia una città che non si sente più al sicuro. Né rappresentata. Né ascoltata.

Serve una sterzata. Serve recuperare il senso di comunità, il rispetto delle regole, la forza delle istituzioni. Servono fatti, non più scuse. Perché chi manda proiettili lo fa per zittire. E chi si accampa nel cuore della città lo fa perché sa che nessuno lo fermerà. Il degrado non è solo quello fisico. È anche — e soprattutto — morale.

E il rischio è che, continuando così, l’indifferenza diventi la nostra unica normalità.

©RIPRODUZIONE RISERVATA