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«Viterbo è stato uno dei posti in cui sono stato contestato di più in vita mia». Parola di Ascanio Celestini che lunedì è stato all’aula magna del complesso San Carlo dell’Unitus per presentare il suo ultimo libro “Poveri cristi”, editore Einaudi. L’evento è stato possibile grazie all’intesa tra Sandro Nardi, direttore artistico del teatro Boni di Acquapendente in cui Celestini insegna al laboratorio sul racconto, e il direttore del Dipartimento di studi linguistico-letterari-storico-filosofico-giuridici dell’Unitus, Luca Lorenzetti. A intervistarlo anche i due docenti di letteratura italiana Paolo Marini e Pietro Piga. “Poveri cristi” è un libro dedicato ai destini degli sconosciuti, quelli delle periferie cui nessuno fa caso, ognuno legato alla sua storia che, malgrado tutto, mantiene una speranza di riscatto. Ascanio Celestini ha accennato alle contestazioni di qualche tempo fa a Viterbo ma c’è tornato di buon grado per la presentazione del suo libro. «La storia è un fatto che desumiamo nel tempo - ha detto Celestini -, le persone, dobbiamo recuperarle una per una, 50 mila morti a Gaza non riesci a raccontarli uno per uno, ma in alcuni riti come alle Fosse Ardeatine si leggono i nomi dei morti, noi li ricordiamo per nome. Volevo scrivere un racconto sul bombardamento di Guernica del 1937 ma non mi veniva in mente niente, poi un amico ha detto che avrei dovuto sentire i facchini della logistica. Andai in un parcheggio vicino via Tiburtina con tutti facchini eritrei e etiopi, arrivo lì alle 6 di mattina e non ero io che chiedevo cose a loro ma loro a me perché ero lì quando staccavano il loro turno». Ascanio Celestini parte da qui per descrivere come nasce “Poveri cristi”: «Quando sono riuscito a raccogliere le loro storie – continua - erano molto diverse rispetto a quelle che avevo raccolto fino ad allora: erano partiti dall’Eritrea e venuti fino a via di Salone. Erano storie belle malgrado, prima dell’arrivo in Italia, avessero vissuto storie tragiche, vedendo morire centinaia di persone. Ho intervistato Enzo Camerino, rastrellato nel 1944 a Roma e tornato vivo, la sua famiglia non esiste più: andò in Canada ed è tornato pochi anni fa. Lui non utilizza mai un aggettivo, in tutta l’intervista dice che il viaggio è stato “nero”. Queste persone sono vive, felici. Nel 2001-2002 abbiamo fatto lo spettacolo Saccarina in cui parlavamo di due ghetti, uno di Roma e uno in Polonia, venne una donna sopravvissuta al ghetto polacco. Mi disse che era stata in due ghetti ma era felice perché sopravvissuta. Nel libro ho cercato di parlare di qualcosa di positivo». Sul suo modo di scrivere Celestini ha precisato che «cerco di dire in maniera diversa sempre la stessa cosa, dai rastrellamenti del Quadraro alla storia di oggi. San Francesco ho voluto raccontare con il presepe di Greccio che il Dio incarnato è nato in un posto di povera gente, se è nato a Betlemme può essere nato anche a Greccio. Noi dobbiamo scrivere nelle parole delle persone vive e San Francesco scrive il Cantico delle Creature in volgare. Le prime due parti di questo libro sono state portate in scena in Svezia - dice ancora Celestini – con i protagonisti di varie nazionalità tranne la traduttrice. Molti mi hanno chiesto di Pasolini: perché devo dire quello che avrebbe scritto sui fatti di oggi? Faccio prima a leggerlo. Nel libro ci sono tanti riferimenti a Pasolini che nello spettacolo non ci sono». Sul messaggio principale di “Poveri cristi” Ascanio Celestini conclude che «ho cercato di riconoscere nelle relazioni umane quello che avviene normalmente. In questo libro non ci sono i cattivi come in Lotta di classe. Ho raccontato come i poveri cristi riescono a tenere insieme un pezzo d’umanità». Il libro è stato promosso dalla libreria Etruria che ha permesso il firma copie.