CIVITAVECCHIA – Dall’archivio dell’ingegnere Odoardo Giannelli, il costruttore della Nave Vespucci, che nel 1944 visitò il porto di Civitavecchia distrutto dai bombardamenti alleati e dalle mine tedesche, ho estratto un altro documento particolarmente interessante per la nostra città: la Relazione di perizia riguardante il piroscafo “Orione” ed il salvataggio del medesimo avvenuto nel porto di Civitavecchia, a cura dell’ingegnere navale Mario Petrucci.
La lunga perizia fu redatta nei primi mesi del 1944, quando Civitavecchia e il suo porto erano ancora in mano tedesca. È pertanto un raro documento che testimonia che, nella città semidistrutta dai ripetuti bombardamenti anglo-americani, minime attività proseguivano nello scalo.
Il piroscafo “Orione” fu affondato una prima volta il 14 maggio 1943, data dell’iniziale bombardamento su Civitavecchia. Ma i guai per la nave non erano finiti. Petrucci scrive che “a seguito dell’incursione del 30 agosto 1943 e prima che la nave fosse resa galleggiante senza pompe, la nave stessa subì nuovi danni o al lavoro eseguito o ad altro che la resero di nuovo sommersa”.
La nave era di proprietà dell’ILVA Alti Forni e Acciaierie d’Italia. La società ternana affidò alla Resmar, il salvataggio dell’Orione. Il contratto all’articolo 4 prevedeva che “la nave s’intende salvata quando sarà resa galleggiante nel Porto di Civitavecchia senza pompe”. Fra le due società nacque un lungo contenzioso. L’ILVA contestava ciò perché a causa del bombardamento del 30 agosto la nave era di nuovo colata a picco. Ma la Resmar rivendicava un compenso ai sensi del precedente articolo che affermava che “se le operazioni avranno avuto solamente un parziale successo in seguito a nuovi avvenimenti dovuti a fatto di guerra”, la ditta riparatrice “avrà diritto ad un equa rimunerazione che verrà anche fissata in caso di divergenza dall’arbitraggio”. All’ingegnere Petrucci fu commissionata la perizia utile per addivenire ad un accordo fra le parti.
La discussione verteva sul valore del piroscafo: mentre un perito lo valutava al 14 maggio 7,5 milioni di lire, il nostro ingegnere lo determinava in circa 2,6 milioni di lire. Per ripararla era stata calcolata una spesa di 2,5 milioni, alla Resmar era garantito un rimborso spese di Lire 500.000.
Nella relazione si affermava che “giacché dopo sei mesi dall’accaduto la nave è ancora sommersa, e in considerazione inoltre che l’attuale stato di cose non permette di prevedere una possibilità in un prossimo futuro di salvare la nave e utilizzarla rimorchiandola in bacino; l’unico valore reale da attribuire a detto relitto è quello di demolizione”. Capiamo che si parla di febbraio 1944.
Nella perizia si parla di un altro salvataggio effettuato nello scalo civitavecchiese: quello del piroscafo “Città di Bengasi” che subì nell’arco di pochi mesi un doppio affondamento: il primo il 14 maggio nello scalo civitavecchiese; riportata a galla e riparata, fu trasferita a Napoli dove, dopo l’armistizio dell’8 settembre, fu requisita dalle truppe germaniche e poi affondata. Quando il relitto fu recuperato fu inviato anch’esso alla demolizione.
La relazione dell’ingegnere Petrucci apre un piccolo spiraglio sui mesi che dal 14 maggio 1943 al 7 giugno 1944 Civitavecchia visse sotto occupazione tedesca. Su quel tragico periodo storico, “l’anno che non fu vissuto dalla città”, è indispensabile proseguire la ricerca per restituire a Civitavecchia parte del suo passato, quello più doloroso. Strada accidentata che sto percorrendo grazie al ritrovamento di documentazione edita ed inedita. Ci ritorneremo in futuri almanacchi.
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