Roma, 19 ott. (Adnkronos Salute) - La comprensione dei meccanismi infiammatori sta cambiando lapproccio terapeutico della broncopneumopatia cronica ostruttiva (Bpco). Finora, avendo poche opzioni per personalizzare la terapia, abbiamo trattato la Bpco come un tuttuno. Negli ultimi anni invece si è assistito allo sviluppo di farmaci biologici che hanno target specifici, che vanno quindi su caratteristiche specifiche della malattia e ci che consentono di avere terapie più mirate per pazienti che presentano determinate caratteristiche. In particolare, oggi abbiamo unopzione per pazienti che hanno uninfiammazione di tipo T2, caratterizzata dagli eosinofili del sangue, un marcatore tra laltro molto semplice da individuare che permette di ridurre le riacutizzazioni e i ricoveri o accessi al Pronto Soccorso. Così Alberto Papi, direttore della Clinica pneumologica dell'Università di Ferrara commenta gli ultimi dei dati dello studio Matinee presentati recentemente al congresso della European Respiratory Society (Ers) che si è svolto ad Amsterdam, che hanno riguardato limpiego di mepolizumab, anticorpo monoclonale che blocca gli eosinofili, quindi la cellula coinvolta in questo tipo di infiammazione. Il risultato principale è la riduzione delle riacutizzazioni moderate e severe, cioè quelle trattate a domicilio e quelle ospedalizzate, comprese quelle con accesso al pronto soccorso - spiega Papi - In una popolazione di pazienti con Bpco che ha avuto frequenti riacutizzazioni in passato, già in in triplice terapia e che presenta eosinofili nel sangue superiori a 300 - illustra - si è osservata una riduzione del 21% delle riacutizzazioni moderate e severe e una riduzione delle ospedalizzazioni e di accesso al pronto soccorso. Tutto questo, in aggiunta al massimo della terapia inalatoria, quindi in pazienti particolarmente severi già in triplice terapia. Oltre agli endpoint clinici, aggiunge, cè anche un beneficio sulla qualità di vita di questi pazienti. Le riacutizzazioni di per sé, infatti, impattano sulla qualità di vita: i pazienti che ne hanno di più frequenti sono quelli che presentano una qualità di vita più bassa. Ridurre le riacutizzazioni, in particolare quelle gravi, ospedaliere - chiarisce lesperto - significa non solo diminuire il rischio di nuovi episodi, ma anche rallentare la progressione della malattia e ridurre la mortalità. Le riacutizzazioni - rimarca - rappresentano infatti il motore principale della progressione della Bpco. Ridurle - endpoint primario degli studi in questi pazienti - è quindi un obiettivo molto importante non solo da un punto di vista clinico, ma anche di qualità della vita. Lindicazione, infatti è per pazienti che sono già al massimo della terapia inalatoria e che, nonostante ciò, presentano ancora sintomi o riacutizzazioni - sottolinea Papi - Per questi pazienti, fino ad oggi, non avevamo altro da offrire, oltre alla triplice terapia: adesso invece abbiamo unopzione in più. Guardando al futuro, ci sono due aspetti fondamentali da considerare - osserva lo pneumologo - Il primo è che, andando verso la personalizzazione delle cure, più opzioni ci sono, meglio è. Ne abbiamo ancora poche per questi pazienti con Bpco, soprattutto per quelli che non hanno uninfiammazione di tipo T2 e che, pur essendo già in triplice terapia, continuano a riacutizzarsi. Su questo ci sono molti studi in corso. Il secondo aspetto riguarda la modalità di somministrazione. Nel campo dellasma, il mepolizumab ha già dato risultati positivi anche in una formulazione a lunga durata, con somministrazione 2 volte lanno. Avere a disposizione un trattamento per la Bpco con utilizzo così dilatato nel tempo rappresenterebbe un vantaggio strategico - conclude - soprattutto perché la somministrazione riguarda pazienti non giovanissimi, per i quali la continuità terapeutica è essenziale. Nellasma, questo tipo di formulazione è già stata testata con successo. Ci auguriamo che in futuro possa arrivare anche nella Bpco.