ROMA- Era ai domiciliari ma dava ordini al suo socio di aprire le cassaforti della società e svuotarle e di cambiare auto per paura di intercettazioni ambientali. Per questo motivo il Gip Massimo Di Lauro ha deciso il carcere per Luigi Martella, arrestato nell’ambito dell’inchiesta sui lavori di manutenzione stradale a Roma. Con lui erano finiti ai domiciliari il socio Alessio Ferrari ed un funzionario di Roma Capitale, Ercole Lalli. L’Anac, l’autorità Anticorruzione guidata da Raffaele Cantone, aveva anche bloccato la prima gara dei lavori per il Giubileo. Ieri per Martella si son aperte le porte del carcere. Su richiesta dei pm Stefano Pesci e Alberto Pioletti il gip ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere sostenendo che, come si legge nel provvedimento, «Martella pur in regime di arresti inquina le prove e continua nell’attività che ha dato occasione alla condotta delittuosa accertata». Dunque i domiciliari non sono più sufficienti perché Martella, rileva il gip, «comunica ripetutamente con l’esterno già in queste prime ore di applicazione della misura». Lo stesso giorno in cui era stato posto ai domiciliari, il 14 ottobre scorso, Martella dava ordini al suo socio, Andrea Manzo, anche lui indagato attraverso la sua convivente. Era lei a telefonare, in sua presenza, a Manzo. «Ringraziando a Dio non sono riusciti a vedere... - dice Martella alla donna - lui deve fare quell’altra cassaforte, quella sotto lo specchio .. lui ha la roba dentro, deve essere tolta... io non posso». In alcune intercettazioni, mentre la donna parla con Manzo, si sente in sottofondo la voce di Martella che impartisce ordini e consigli. «Fagli cambiare la macchina, deve pigliarsi la macchina sua», dice Martella mentre la donna parla con Manzo, «evidentemente preoccupato - osserva il Gip - per possibili intercettazioni ambientali sull’autovettura usata da Manzo». Intanto si avvicina la data per la prima udienza del maxi processo Mafia Capitale, prevista il 5 novembre. Oggi l’Ordine dei giornalisti ha denunciato che ben «96 giornalisti sono stati denunciati con un solo esposto dagli avvocati difensori degli indagati di Mafia Capitale: sono 78 cronisti e 18 direttori responsabili che hanno pubblicato gli atti dell’inchiesta, coperti formalmente da segreto». Per Paolo Pirovano, segretario nazionale dell’Ordine dei giornalisti «dopo le minacce verbali e le aggressioni anche fisiche nei confronti dei cronisti che in questi mesi hanno cercato di raccontare con professionalità fatti e retroscena dell’inchiesta Mafia Capitale, ora è la volta di questo esposto imbarazzante che, secondo il Comitato esecutivo dell’Ordine nazionale dei Giornalisti, offre una interpretazione distorta e gravissima non solo del diritto dei cittadini ad essere informati ma anche della libertà di stampa.
Tangenti, l’imprenditore Martella dava ordini dai domiciliari
17 ottobre, 2015 • 17:14