«Questa curia vescovile volentieri offre il proprio contributo in merito al confronto che si è aperto su alcune dichiarazioni riportate dagli organi di stampa, inerenti il carattere inclusivo che deve contraddistinguere la festa di Santa Rosa». Lo dice il vicario generale, don Luigi Fabbri, spiegando che «“Santa Rosa è di tutti”, ne siamo convinti, senza dubbio, e per questo comprendiamo il senso e l’intenzione che c’è dietro questa affermazione, che però ha bisogno di essere approfondita per evitare possibili fraintendimenti». Don Fabbri, in particolare, si riferisce, alle parole del presidente del Sodalizio dei facchini, Massimo Mecarini,che ha dichiarato: «Se un ragazzo o una ragazza di altra religione vuole fare il facchino, le porte sono aperte».

Ebbene, prosegue il vicario generale, «Santa Rosa è di tutti perché il suo Cuore, che tanto ha amato questa nostra Città, accoglie tutti e non esclude nessuno. Santa Rosa è di tutti perché il suo messaggio e la sua testimonianza di amore e di riconciliazione, di fraternità e di solidarietà, portano con sé un patrimonio di valori che tutti, senza distinzione, possono condividere e far proprio. Ma, nello stesso tempo, tutti devono avere chiaro il fondamento che ha animato la giovane esistenza di Santa Rosa: la fede in Dio, l’amore per il Crocifisso, la tenera devozione alla Madonna, la sua appartenenza alla Chiesa. Santa Rosa ha tradotto in azione ciò che portava nel cuore. Un facchino di Santa Rosa di questo ne è consapevole e questi valori e questa fede deve condividere, come molto opportunamente ha evidenziato anche il Presidente del Sodalizio dei Facchini».

«Un facchino, inoltre, sa che portare la “Macchina” non è tanto una prova di forza - previsa don Fabbri - ma l’espressione di un unico sentimento di devozione e di amore verso la Santa. E questo motiva anche la fatica.

La festa di Santa Rosa, dunque, dice chiaro riferimento alla fede cristiana. È nostro dovere, perciò, condividere questa specificità anche con chi non professa la nostra stessa fede, perché possa cogliere la ricchezza della nostra storia e della nostra identità. E, chissà, magari farla propria!». «Allora distinguere è necessario. Non però per emarginare o escludere, ma per far emergere le differenze che sono un dono e che vanno armonizzate per far crescere e maturare la trama del vivere sociale. Diversamente - conclude il vicario generale - si corre il rischio di livellare tutto con un conseguente impoverimento di tutti»

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