LADISPOLI - E’ entrato nel vivo il processo per l’omicidio del giovane Marco Vannini, morto lo scorso anno nel mese di maggio in seguito ad un colpo di pistola esploso nella casa di Antonio Ciontoli, padre della fidanzata di Marco.
Stamane presso la Corte d'Assise di Roma hanno iniziato a sfilare davanti al giudice i primi teste del processo che vede rinviati a giudizio per omicidio volontario i quattro membri della famiglia Ciontoli: Antonio, i figli Federico e Martina e la madre Maria Pezzullo.
Il primo a parlare davanti al giudice è stato il maggiore Lorenzo Ceccarelli, ex comandante della Compagnia dei Carabinieri di Civitavecchia.
Secondo quanto emerso Ceccarelli quella sera sarebbe stato avvisato dal maresciallo Izzo della stazione dei carabinieri di Ladispoli di un giovane con una lieve ferita da arma da taglio. Solo successivamente Izzo avrebbe riferito al maggiore che si trattava invece di una ferita da arma da fuoco.
Ceccarelli ha raccontato davanti al giudice che dopo la morte di Marco sul cadavere del giovane si poteva vedere la presenza evidente dell’ogiva nell’emitorace sinistro e che a testimonianza di questo ci sarebbero foto documentali scattate sul corpo di Marco intorno alle ore 3:38.
Dopo l’evidenza della morte del giovane Marco in seguito ad un colpo di pistola, Antonio Ciontoli, Federico e Martina si sarebbero quindi recati con i carabinieri nell’abitazione dove sarebbero state constatate delle macchie di sangue all’ingresso dell’abitazione, sulle scale, nel letto della camera del Ciontoli. Nel bagno un accappatoio con tracce ematiche.
L’esame stub è stato successivamente effettuato all’interno del garage in un’area lontana da quella dove si sono svolti i fatti. Sull’arma utilizzata per sparare a Marco, è intervenuto anche il Rud, reparto dove lavora Antonio Ciontoli, per riferire che l’uomo non aveva armi di servizio e risulterebbe che l’ultima esercitazione di tiro era stata svolta l’11 febbraio 2013.
Le armi detenute in casa Ciontoli erano comunque regolarmente denunciate ma il porto d’armi era scaduto, quindi Antonio Ciontoli non avrebbe potuto svolgere esercitazioni o portare fuori di casa le armi. Nessun poligono della zona inoltre avrebbe tra i propri clienti Antonio Ciontoli.
Dopo Ceccarelli è stato poi il turno del secondo teste, l’appuntato scelto Andrea Fusari il quale ha sostenuto davanti ai giudici che quella sera Ciontoli si è dichiarato ai Carabinieri come persona in servizio presso la presidenza del Consiglio dei ministri.
Il terzo teste a sfilare davanti ai giudici è l’autista dell’ambulanza del 118 che quella sera è arrivata sul posto, Cristian Cutini Calisti. L’autista nella sua testimonianza ha confermato davanti al giudice che quella sera l’ambulanza partì per soccorrere una persona in panico a seguito di una ferita da punta.
Ad attendere l’ambulanza, secondo Cutini Calisti, una ragazza che ha riferito ai soccorsi che non sapeva cosa era successo perché appena arrivata. In seguito durante il processo l’avvocato Gnazi ha fatto confermare al teste che quella persona fosse Martina.
Versione sulla quale non concorda il legale dei Ciontoli, Andrea Miroli.
L’autista ha raccontato poi al giudice cosa avrebbe visto una volta dentro l’appartamento. Secondo quanto raccontato, i soccorritori una volta entrati nell’abitazione avrebbero visto Marco che era a terra con Maria Pezzillo (madre di Martina) che teneva le gambe alzate.
Marco sarebbe riuscito a rispondere ad alcune domande poste dai soccorritori.
Poi sarebbe intervenuto Ciontoli per riferire che in famiglia si stava scherzando per una partita e che poi il giovane si sarebbe ferito in bagno con un pettine. I soccorritori, sempre secondo la ricostruzione di Cutini Calisti avrebbero poi preso i parametri dell’ossigenazione che era leggermente bassa, ed avrebbero notato che Marco passava da momenti di lucidità a momenti di mancanza di coscienza. I medici avrebbero provato a metterlo seduto, ma a rispondere alle domande dell’infermiera è stato Antonio Ciontoli.
Sempre secondo la ricostruzione fatta dall’autista austista, non riuscendo ad avere risposte chiare sull’accaduto e vedendo l’anomala situazione di Marco, i soccorritori quella sera decisero per il trasporto al Pit di Ladispoli- Cerveteri.
Marco in un attimo di lucidità sarebbe stato abbracciato da Antonio Ciontoli e da Federico che lo avrebbero sorretto nello scendere le scale. Solo una volta scesi al piano terra, è stato messo nella barella. Secondo la ricostruzione fatta ieri davanti ai giudici nessuno oltre ad Antonio Ciontoli avrebbe interloquito con i sanitari.
Gli altri presenti nella casa avrebbero solo assistito senza parlare. Sempre secondo l’autista, sarebbe stato poi lo stesso Ciontoli che, una volta giunto al Pit, avrebbe suonato alla porta chiusa del pronto intervento. Cutini Calisti ha raccontato di aver aperto la porta e di essersi trovato davanti Ciontoli che gli mostrava un tesserino qualificandosi come Carabiniere, chiedendo di parlare con il medico il quale, di ritorno, riferì ai soccorritori che Marco era stato ferito da un colpo da arma da fuoco e che Ciontoli avrebbe chiesto «di non dirlo a nessuno».
E’ stata solo allora attivata la procedura di soccorso con l’eliambulanza per il trasporto del ragazzo presso un ospedale, mentre Marco, in completo stato di agitazione mentre 4 persone tentavano di tenerlo fermo, gridava «Aiuto ragazzi».
Il teste avrebbe poi riferito di aver sentito chiaramente Antonio Ciontoli all’interno della camera calda pronunciare frasi di disperazioni per la possibilità di perdere il lavoro.
Ad udienza terminata è stato dato mandato alle trascrittrici di mettere nero su bianco le telefonate fatte al 118.
Le prossime udienze, secondo quanto fissato oggi si terranno ad ottobre nei giorni 12 e 26.