CIVITAVECCHIA  È civitavecchiese la protagonista della sentenza con cui il Tar del Lazio ha accolto il ricorso contro l’Università della Tuscia di Viterbo, restituendo a una brillante studiosa la possibilità di proseguire il proprio percorso accademico. Con la sentenza n. 18025/2025, i giudici amministrativi hanno infatti dato ragione alla ricercatrice Claudia Coleine, difesa dagli avvocati Francesco Arecco e Lucia Bitto, contro la decisione dell’Ateneo che le aveva negato l’accesso alla procedura di chiamata nel ruolo di professore associato (II fascia).

Coleine, che da anni svolge attività di ricerca nel campo dei funghi microscopici, considerati fondamentali per la vita sul pianeta e per molti aspetti dell’attività umana, è una delle ricercatrici italiane più citate a livello internazionale. Proprio per questo, si legge nel comunicato diffuso dall’Uspur (Unione Sindacale Professori e Ricercatori Universitari), «tutto avrebbe fatto pensare che l’Università nella quale si è laureata e che ha istituito il suo Dottorato avrebbe desiderato mantenerla fra i suoi Professori».

Invece, lo scorso 8 luglio il Consiglio di Dipartimento dell’Ateneo viterbese aveva deliberato di non procedere con la stabilizzazione della ricercatrice, che avrebbe dovuto essere sottoposta alla valutazione di una commissione indipendente. Secondo la ricostruzione fornita dal sindacato e accolta dal Tar, il Consiglio – che aveva solo un ruolo di verifica del possesso dei requisiti di ricerca – avrebbe invece «esaminato elementi che nulla avevano a che vedere con tali requisiti».

«Di qui la decisione – commenta Maurizio Masi, segretario generale dell’Uspur – di escludere la ricercatrice dalla procedura. Un unicum in Italia, perché nei pochissimi casi di esclusione noi abbiamo riscontrato la carenza di requisiti formali o di produzione scientifica. Mai abbiamo visto escludere un ricercatore titolato e attivo». Masi aggiunge che «il Consiglio di Dipartimento aveva riscontrato unanimemente, come risulta da verbale, che la ricercatrice era più che adeguata, ma poi aveva valutato a suo carico l’esito parzialmente negativo di un progetto di ricerca europeo, responsabilità che dalle carte risulta dell’Università stessa e che comunque non deve essere oggetto di valutazione in sede di conferma del professore».

Il sindacato sottolinea come la ricercatrice, dopo anni di lavoro all’interno dell’Ateneo, «si sia trovata, alla soglia dei quarant’anni, a dover sostenere le spese di difesa per far valutare correttamente il proprio lavoro e in definitiva continuare a servire l’Università».

Alla base della decisione del Dipartimento, si ipotizzano «dissapori per l’ascesa di una ricercatrice che, nonostante la giovane età accademica – il dottorato è stato conseguito nel 2018 – ha conseguito risultati bibliometrici che la collocano ai livelli più alti non solo rispetto ai ricercatori, ma anche in confronto a diversi professori di I e II fascia del Dipartimento». Ora l’Università della Tuscia ha 30 giorni di tempo per istituire una Commissione composta in prevalenza da membri esterni e procedere alla valutazione della produzione scientifica della ricercatrice. «Auspichiamo – conclude Masi – che questo cervello si possa mantenere in Italia, evitando di donare anni di ricerca e competenze a Università estere più attente a queste persone».