Esistono sul territorio del Viterbese delle risorse idriche, non contaminate da arsenico, da utilizzare per uso umano?

Una domanda su cui si è incardinato l’incontro pubblico, organizzato dal comitato Non ce la beviamo e patrocinato dal comune di Viterbo, tenuto ieri nella sala d'Ercole di Palazzo dei Priori. Un modo diverso di approcciarsi a una problematica che impatta sulle comunità del territorio sia in termini di costi da sostenere - vedi spese di manutenzione dearsenificatori - che di salute pubblica, a fronte di una significativa incidenza di tumori come rimarcato anche ieri dalla dottoressa Antonella Litta di Isde-Medici per l’ambiente durante il suo intervento. In apertura dei lavori la sindaca Chiara Frontini ha sottolineato l’importanza della tematica «sempre attuale ma oggi ancora di più, alla luce dell’ordinanza di non potabilità emessa dal sindaco di Civita Castellana per il superamento dei livelli consentiti di arsenico nell'acqua».

«Per contrastare definitivamente il problema - ha aggiunto - servono interventi straordinari».

«L’inquinamento da arsenico nelle risorse idriche - le ha fatto eco Paola Celletti del comitato - è un problema grave e serio, a cui ora si è aggiunta anche la presenza di uranio».

Ricordando poi che la sentenza, relativa all’infrazione Ue in materia, riguarda in particolare proprio la provincia di Viterbo è intervenuta su quella che sembra profilarsi come possibile soluzione: utilizzare le acque del Peschiera.

Un’ipotesi che solleva però qualche perplessità.

«Approvvigionarsi dall’acquedotto del Peschiera, in provincia di Rieti, si tradurrebbe nel portare l’acqua per 100 chilometri sostenendo costi enormi. E’ questa l’unica soluzione, siamo sicuri che questa opera è necessaria?» è il dubbio su cui ha richiamato l'attenzione la Celletti aggiungendo che «ci risulta che siano stati effettuati studi e ricerche sulle risorse idriche del nostro territorio per risolvere il problema».

A testimonianza di ciò ha chiamato in causa Vincenzo Piscopo, geologo e docente dell’Unitus.

Partendo dal presupposto che «è impossibile l’acqua senza arsenico, l’importante è non superare i limiti» il professore ha illustrato alcune risultanze di rilevazioni e analisi chimiche eseguite in collaborazione con Enea, Istituto superiore Sanità e Arpa Lazio, in particolare sulle sorgenti sotterranee del Cimino e di Vico.

Nella fattispecie, oltre a comportamenti diversi tra le due zone prese in esame - «la costituzione geologica del territorio condiziona il tipo di acqua» ha evidenziato -, ha anche riferito che «nei campionamenti su sorgenti in quota, per quanto riguarda l'area Cimino, i livelli di arsenico sono di 3,8 milligrammi a litro, è presente però anche l’uranio».

Stando allo studio, una delle sorgenti a Soriano nel Cimino eroga «7 litri al secondo di acqua di ottima qualità. Il punto è capire quanta se ne può pompare».

Il docente ha quindi dichiarato che «nel Lazio il problema non è la quantità della risorsa idrica ma la qualità».

E a chi dal pubblico ha chiesto quali soluzioni adottare, Piscopo ha replicato puntualizzando: «Noi esponiamo i dati, tocca poi ai professionisti scegliere tra le ipotesi di soluzione che prospettiamo». La sfida che il comitato Non ce la beviamo ha inteso sottoporre all’attenzione della cittadinanza con l’incontro pubblico è stata quella di illustrare le possibili prospettive per un’acqua senza arsenico. Prospettive che per il comitato «devono essere verificate in modo adeguato per le possibili ricadute sull’approvvigionamento e la gestione delle acque del territorio».

Tra il pubblico, che ha seguito con molta attenzione gli interventi dei relatori, anche il sindaco di Grotte di Castro Piero Camilli.