La vicenda legata al presunto conflitto d’interessi del sindaco Marco Piendibene in merito all’approvazione del PSSE (Piano Strategico di Sviluppo Economico) si arricchisce di un nuovo capitolo che rischia di trasformare un caso amministrativo in un vero e proprio giallo politico-istituzionale. Dopo l’esposto presentato dal tecnico civitavecchiese Silvio Dionisi, e il conseguente intervento del Prefetto di Roma, che lo scorso 13 giugno ha chiesto al segretario generale del Comune – in qualità di Responsabile per la prevenzione della corruzione e della trasparenza – un riscontro puntuale sulla posizione patrimoniale del primo cittadino, il sindaco ha pubblicato un’integrazione alla propria dichiarazione dei beni. Ma lo ha fatto in modo quantomeno anomalo.

Il documento – caricato il 17 giugno 2025 sulla sezione “Amministrazione Trasparente” del sito istituzionale del Comune – è privo di data, privo di numero di protocollo, e non è accompagnato da alcuna nota esplicativa. Una semplice integrazione in formato PDF, che rispetto alla dichiarazione precedente aggiunge per la prima volta le quote di proprietà su due particelle catastali e su un immobile-deposito riconducibile al Consorzio Autotrasportatori, per una superficie totale di circa 28.000 metri quadrati. Si tratta delle stesse proprietà citate nell’esposto di Dionisi, che rientrano all’interno del perimetro di trasformazione del PSSE. Con questa integrazione – presentata dopo che la Prefettura ha chiesto ufficialmente conto della vicenda – il sindaco certifica di fatto che fino a quel momento non aveva mai dichiarato quei beni, come se fossero stati acquisiti solo nell’ultimo anno. Ma non è così.

Da quanto emerge dalla dichiarazione dei redditi 2024 per l’anno d’imposta 2023, il sindaco aveva già indicato quelle proprietà al fisco, pagandoci l’IMU, circostanza che dimostra inequivocabilmente la titolarità precedente ai fatti contestati e la consapevolezza di avere quelle quote. Ciò apre un fronte ben più spinoso: perché Piendibene ha omesso di dichiarare quei beni nella sezione sulla trasparenza patrimoniale prevista per i titolari di cariche pubbliche, salvo inserirli soltanto dopo l’intervento del Prefetto?

Secondo fonti esperte in diritto amministrativo, la discrasia tra quanto dichiarato al fisco e quanto pubblicato nella sezione trasparenza potrebbe configurare il reato di dichiarazione mendace ai sensi dell’art. 76 del DPR 445/2000. Un’ipotesi che, se confermata, andrebbe ben oltre la semplice violazione amministrativa e configurerebbe un illecito di natura penale, legato alla falsità ideologica in atto pubblico.

Sulla questione si è registrata una presa di posizione ferma da parte dei gruppi consiliari di opposizione, che in una nota congiunta firmata da Massimiliano Grasso, Paolo Poletti, Giancarlo Frascarelli, Luca Grossi, Simona Galizia, Antonio Giammusso, Mirko Mecozzi e Nora Costantini chiedono che “il sindaco venga immediatamente a riferire in Consiglio Comunale”.

“Riteniamo che una questione comunque delicata e rilevante come questa – si legge nella nota – debba essere portata all’attenzione del Consiglio anziché diventare oggetto di discussione o polemica giornalistica. È doveroso da parte del primo cittadino riferire alla prima seduta utile onde fugare ogni possibile dubbio sulla correttezza della propria condotta e degli atti amministrativi approvati.

Bisognerà ora vedere cosa risponderà al Prefetto il segretario generale del Comune in qualità di Responsabile della Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza e come si intenderà procedere da Palazzo Valentini, oltre che dall’Anac e dalla Procura della Repubblica. Mentre sui social l'opinione pubblica si divide tra chi difende la buona fede del Sindaco e chi attende chiarimenti veri, non correttivi postumi.

©RIPRODUZIONE RISERVATA