FIUMICINO - Le sfide pastorali, culturali e sociali, di ieri e di oggi, sono state oggetto di dibattito e confronto tra tutti i vescovi della Conferenza Episcopale Italiana, riuniti in Vaticano per la 77ma Assemblea Generale della Cei.

Quattro giorni di lavori intensi, iniziati e conclusi con un doppio intervento del Papa, durante i quali ci si è soffermati soprattutto sull’accorpamento delle Diocesi, sulle tappe finali del percorso sinodale che si concluderà a ottobre e, ovviamente, sul tema della famiglia. Tutte problematiche che mons. Gianrico Ruzza, vescovo delle diocesi di Porto-Santa Rufina e Civitavecchia-Tarquinia, conosce molto bene. Il presule, che da diversi anni guida due “Chiese sorelle” sul litorale romano, fa sue le parole del Pontefice, chiedendo ai fedeli di essere parte di quella “Chiesa inquieta” che è sempre in ascolto di tutti.

Eccellenza, nella sua introduzione ai lavori, il cardinal Zuppi ha parlato dell’accorpamento delle Diocesi, definendole “una sfida per il futuro ma anche un’opportunità per ripensare nuove forme di prossimità”. Lei come ha vissuto e come sta vivendo la gestione di due diocesi? Quali sono i pro e i contro?

«Vorrei innanzitutto dire che dobbiamo sempre amare la prossimità, in quanto essa è lo stile che caratterizza il nostro essere cristiani da sempre, pertanto abbiamo anche il compito di adeguarla alle esigenze del tempo attuale. Certo, l’aumento di lavoro per l’unione delle diocesi nella persona del vescovo sembrerebbe comportare una difficoltà rispetto alle possibilità di relazione. Ma, per quanto ho avuto modo di sperimentare nel mio servizio, penso che la ricchezza delle esperienze che stiamo vivendo, sia nei percorsi delle singole diocesi sia in quelli vissuti in comunione dalle due Chiese sorelle, offra una nuova forma di vicinanza, caratterizzata dall’arricchimento reciproco di amicizie e storie. Dal confronto con gli altri confratelli vescovi che vivono la mia stessa situazione, ho potuto constatare che è l’intensità di quello che facciamo a poter davvero rappresentare un nuovo modo di vivere la prossimità.

Dobbiamo infatti comprendere che la prossimità è una questione di intenzionalità, cioè l’intenzione del pastore di condividere nel profondo il vissuto delle persone».

Da qualche anno la Chiesa si sta preparando alla celebrazione del Sinodo sulla sinodalità. Parecchio rilievo è stato dato all’ascolto. Ricordo che avevate posto due domande a tutti i residenti, credenti e non. C’è stata una buona risposta numerica? Che idea si è fatto? Che cosa chiedono oggi le persone alla Chiesa?

«Potrei dire che ci sia stata una risposta positiva sorprendente. Abbiamo ascoltato diverse migliaia di persone tra piattaforme on line, incontri nelle vicarie e nelle zone pastorali, assemblee parrocchiali, momenti di dialogo con i “mondi” della cultura, del lavoro, della scuola, dell’università, dialoghi informali.

Tra l’altro a metà giugno avremo un incontro di ascolto dedicato agli artisti e a luglio ne stiamo organizzando uno con coloro che sono impegnati nel servizio della politica. Eppure, non possiamo mai dirci soddisfatti, perché più riusciamo ad avvicinare le persone più questo contatto ci consente di annunciare la gioia del Vangelo.

È questo, credo, l’atteggiamento di cui ci ha parlato Papa Francesco nell’udienza concessa ai vescovi e ai referenti diocesani del cammino sinodale italiano che ha concluso l’Assemblea generale della Cei. Il Papa ci ha chiesto di «essere una Chiesa “inquieta” nelle inquietudini del nostro tempo». Quindi una Chiesa che sempre più, con cura attenzione e premura, vuole annunciare alle persone la tenerezza e la costante presenza dell’amore di Dio».

Tra le sfide da affrontare per l’oggi e il futuro, il cardinal Zuppi ha evidenziato quello della famiglia. In una società come quella odierna, dove il messaggio della Chiesa in tema di famiglia è considerato antiquato, una scuola della tenerezza come quella nata a Focene può essere un punto di partenza?

«Rispetto ai tempi passati, anche solo osservando quanto accadeva fino a una ventina di anni fa, registriamo oggi un’oggettiva fatica dell’istituzione familiare nel riconcepirsi all’interno della dinamica familiare, nei ruoli e nella gestione della relazione educativa. Questa difficoltà, che ha origini prevalentemente sociali e culturali, non deve indurre nella comunità cristiana l’atteggiamento del giudizio, del pregiudizio e della condanna. Deve invece provocare in noi il desiderio di suscitare una bellezza. La mia idea nel pensare e organizzare la Scuola della tenerezza, in comunione con alcuni laici e presbiteri delle nostre due diocesi, è quella di dire quanto è bello pensare che il rapporto affettivo all’interno della famiglia nasce dalla tenerezza di Dio. Detto questo, credo che oggi questa proposta offra un contributo importante per aiutare le giovani famiglie a superare le difficoltà, per aiutare quelle un po’ meno giovani a consolidarsi nella loro relazione, per aiutare soprattutto i giovani che intendono vivere un progetto di famiglia a scegliere questa vocazione all’amore nella prospettiva della vita cristiana e dell’insegnamento evangelico. E, aggiungo, anche nella stabilità della vita affettiva. Per quest’ultimo punto mi riferisco al fatto che nella cultura attuale l’espandersi della teoria del gender sta creando un’idea di fluidità, che, senza alcun giudizio personale nei confronti di coloro che vogliono vivere questa situazione, può creare enormi difficoltà alla crescita delle persone, perché l’elemento che ci rende stabili è la saldezza in quello che intendiamo vivere. L’idea di un’oscillazione permanente, come alcuni esponenti della teoria del gender vogliono sottolineare, rappresenta un problema da un punto di vista umano, psicologico e spirituale di cui noi non possiamo non essere coscienti. Il Santo Padre più volte ci ha ricordato che questo è davvero un tema su cui insistere perché c’è una deriva ideologica che va a toccare i fondamenti della convivenza umana».