ENRICO CIANCARINI

CIVITAVECCHIA – “Drammatici scontri a Civitavecchia durante lo sciopero generale di ieri” titolava L’Unità, organo del Partito Comunista Italiano, del 18 febbraio 1959 in prima pagina. Nel sottotitolo leggiamo: “Chiusi anche le scuole e i negozi, fermo il porto. Gli agenti caricano la cittadinanza scesa nelle strade in appoggio agli operai. Ridicole proposte del Commissario prefettizio per fronteggiare la crisi. I cementieri decidono lo sciopero nello stabilimento di Pesenti”. Paolo Bufalini, segretario della Federazione provinciale romana del Partito comunista firmava l’editoriale del giornale “Biglietto da visita” in cui già nelle prime righe si attaccava il fresco presidente del Consiglio e ministro degli Interni, il democristiano Antonio Segni:

“Poche ore dopo che l’on.le Segni si era insediato al Viminale come Presidente del Consiglio e come Ministro agli Interni, mille agenti hanno invaso notte tempo l’Italcementi di Civitavecchia e ne hanno scacciato gli eroici operai, che da dodici giorni presidiavano la fabbrica, tutti uniti ed appoggiati dall’intera popolazione, senza divisione di organizzazione sindacale, di parte politica, di credo religioso”

Il governo Segni, un monocolore democristiano, si era insediato il 15 febbraio. La fiducia alla Camera era stata votata dalla DC, dal PLI, dal MSI e dai monarchici. Sarebbe durato fino al 24 febbraio 1960 quando cadde per il ritiro dell’appoggio da parte dei Liberali che accusavano la DC di cercare una svolta a sinistra. Fu sostituito dal governo Tambroni altro monocolore democristiano appoggiato solo dal MSI. Ciò comportò le dimissioni dei ministri diccì di sinistra e la caduta del governo il 19 luglio. A sostituirlo fu il Fanfani Ter che aprì il periodo dei governi di centrosinistra.

Tornando a Civitavecchia, lo sciopero all’Italcementi era iniziato il 5 febbraio quando la direzione aveva licenziato 70 operai sui 250 impiegati nello stabilimento. Dal Messaggero del 6/2:

“I duecentocinquanta operai dell’Italcementi di Civitavecchia hanno occupato la fabbrica. Barricati all’interno dello stabilimento essi hanno respinto l’ingiunzione delle forze dell’ordine di sgomberare ed hanno ricevuto ieri sera dai familiari viveri e generi di conforto”. L’articolo si conclude così: “Capannelli di donne hanno stazionato sino a notte inoltrata innanzi alla fabbrica”. La città riviveva le drammatiche giornate del lontano sciopero dei portuali del 1897 quando tutta la città e soprattutto le donne si schierarono a fianco dei facchini in lotta per il loro posto di lavoro e per migliori condizioni economiche.

Iniziarono le trattative fra la parte datoriale e i sindacati ma l’accordo non si conseguiva e il tavolo fu tolto. Il 12 fu proclamato lo sciopero generale di 24 ore in tutta la città.

Alle 4,10 del 17 febbraio la polizia irruppe nello stabilimento per far rispettare la decisione del locale pretore che aveva intimato lo sgombero dei locali alle maestranze che li occupavano da 12 giorni.

“Quando la notizia si è diffusa in città – scrive Il Messaggero – le organizzazioni sindacali delle varie correnti hanno proclamato un altro sciopero generale di 24 ore, al quale hanno aderito gli operai portuali, quelli edili e numerosi negozianti. Anche il mercato pubblico è stato disertato quasi del tutto dai rivenditori, mentre gli studenti si sono affrettati ad abbandonare le aule”.

Sul giornale comunista troviamo la descrizione dettagliata degli scontri fra civitavecchiesi e polizia:

“Gruppi di scioperanti hanno affollato le vie centrali concentrandosi in gran numero sulla piazza del mercato. C’erano cementieri, portuali, minatori, gasisti, studenti medi, donne. Alle 8.30 si è formato un corteo che ha imboccato via Risorgimento e si è snodato lungo via Cencelle, largo Plebiscito, via Trieste, via dell’Olmo, piazza Aurelio Saffi, via Giosuè Carducci, per poi tornare in piazza del Mercato”. L’inviato dell’Unità scriveva che “la polizia non ha osato intervenire tanto compatta ed energica apparve la massa dei manifestanti a cui si frattanto aggiunta altra folla”.

Una delegazione degli scioperanti, accompagnata dall’onorevole Claudio Cianca della CGIL, si recò in Comune dove c’era il commissario prefettizio. Questi offrì sei milioni di lire per consentire l’assunzione al lavoro di qualche operaio. La delegazione operaia chiese “l’inizio immediato dei lavori per il villaggio INA - Casa, il completamento del piano regolatore del porto, la liquidazione immediata dei danni di guerra a privati e a enti pubblici”. La trattativa si interruppe e i delegati riferirono alla folla in piazza la proposta avanzata dal commissario prefettizio:

“A questo punto, alcuni giovani hanno portato in piazza una bandiera tricolore dietro cui la folla si è raccolta, avviandosi di nuovo lungo via Risorgimento. Erano le dieci e trenta. All’inizio di via Cencelle la polizia ha tentato di impadronirsi della bandiera. Non c’è riuscita. Dalla folla si è levato l’inno di Mameli. Il commissario spalleggiato da un folto nucleo di agenti è tornato alla carica. La bandiera è passata più volte di mano in mano. Afferrata poi dalle mani dei celerini, unici rappresentanti del governo in quel drammatico momento, la bandiera si è lacerata in due pezzi. E questo grave oltraggio non ha fatto che accrescere la generale indignazione.

Nel frattempo, intorno alla bandiera, alcuni cittadini erano stati violentemente percossi dai poliziotti

La reazione popolare è stata, a questo punto straordinariamente energica. Le cariche della polizia sono state respinte con tutti i mezzi a disposizione in una città dove le macerie si incontrano ad ogni angolo di strada: pietre, mattoni, pezzi di legno divelti da palizzate. Alle ore 10.30, dalle camionette della polizia sono partite decine di bombe lacrimogene, che tuttavia non sono riuscite a fare il vuoto. Infine, constata la impossibilità di avere la meglio (la combattività della folla, anzi che decrescere aumentava), il commissario ordinava ai reparti di ritirarsi. La folla, padrona delle sue strade, si raccoglieva di nuovo in piazza Mercato, dove il compagno Cianca verso mezzogiorno pronunciava un secondo, breve comizio”.

Il bilancio degli scontri fra civitavecchiesi e polizia del 17 febbraio fu di sette feriti non gravi.

Le trattative fra sindacati e Italcementi si spostarono a Roma, presso il Ministero del Lavoro e durarono per alcuni mesi concludendosi con il ritorno al lavoro di tutti gli operai.

PS: all’Italcementi lavorarono nonno Paolo e zio Tommaso. A loro dedico questo almanacco.