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Doveva essere la rivoluzione del porta a porta. Il cambio di passo. Il colpo di reni di CSP – la municipalizzata che, con le casse in affanno e un’immagine ormai appannata, cerca disperatamente di convincere la città che qualcosa sta cambiando. E invece, come nella più classica delle favole, la montagna ha partorito il topolino.
Altro che svolta. Niente cassonetti intelligenti, niente (per ora) taglio degli straordinari per il lavoro notturno. E il rischio concreto, se non addirittura probabile, è che questa ennesima riorganizzazione del servizio si trasformi in un boomerang, economico e operativo.
A partire dal 30 giugno, Civitavecchia sarà divisa in sei zone invece delle attuali due. Una frammentazione che, secondo i promotori, dovrebbe ottimizzare tempi e costi. Ma che, in realtà, rischia di sortire esattamente l’effetto opposto. Le motivazioni portate dai lavoratori sono fondate: nessuno può seriamente pensare che si raccolga immondizia tra le 11 e le 15 di luglio sotto 40 gradi, con sacchetti al sole pronti a trasformare i marciapiedi in latrine a cielo aperto. Ma allora viene da chiedersi: che senso ha questa riforma a metà?
Con un’informazione pubblica ridotta al minimo (a pochi giorni dalla partenza del nuovo servizio ancora molti cittadini ignorano i dettagli), il rischio è che la fase iniziale sia caotica, con disservizi, proteste e una gestione dei rifiuti ancora più complicata. E mentre Csp naviga a vista, i conti della società non sorridono: il primo trimestre ha già registrato oltre 360mila euro di perdita. Se il secondo dovesse andare peggio, le conseguenze sarebbero pesantissime.
Chi ha voluto questa “non riforma”? Chi si assumerà la responsabilità di un’operazione potenzialmente fallimentare? Inizia il classico gioco dello scaricabarile. Nel Cda di CSP, qualcuno sottovoce lascia intendere che la spinta sarebbe arrivata dal Comune. Ma alla conferenza stampa di presentazione, il sindaco Marco Piendibene ha brillato per assenza (ufficialmente “altri impegni”).
A prendersi la patata bollente – manco a dirlo – è stato il solito Stefano Giannini, l’assessore all’Ambiente delle “gianninate”, che più che amministrare sembra passare da una bufera all’altra. Ma stavolta, la domanda è lecita: è davvero una sua iniziativa? Perché se Giannini non fosse stato d’accordo, avrebbe potuto – e dovuto – intervenire. Invece tace. E quel silenzio sembra più legato a equilibri interni alla giunta da tutelare che non a una convinzione politica. Con il rischio di restare con il cerino in mano.
Poi c’è il consiglio comunale. Possibile che una modifica tanto sostanziale nella gestione del servizio rifiuti – che coinvolge l’intera città – non sia stata sottoposta nemmeno per una discussione formale? A forza di decisioni prese a porte chiuse, di conferenze stampa senza sindaco, con poche domande, senza risposte, e di riforme annunciate senza strumenti né coraggio, la sensazione è che a guidare non ci sia una strategia, ma solo una pericolosa navigazione a vista.
Il 30 giugno è dietro l’angolo. Non solo per la partenza della “rivoluzione”. Ma soprattutto per la fine del trimestre. E l’unica certezza è che, se le cose dovessero andare male – sul piano operativo, politico e soprattutto economico – questa riforma sarà ricordata come il simbolo del corto circuito tra propaganda e realtà.
Perché quando anche una montagna si mette in moto, ma lo fa senza convinzione senza logica… il topolino è il minimo che ci si possa aspettare. E a finire nel tritacarne potrebbe essere proprio CSP. Con tutte le conseguenze – pesantissime – per i lavoratori e per i cittadini.
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