Don Ivan Leto*

Siamo nel capitolo 6 del Vangelo di Luca. Gesù pronuncia le beatitudini, la pagina più sorprendente del Vangelo. Il testo di Luca è simile a quello di Matteo, ma più breve. Invece di otto beatitudini (Matteo), Luca ne enumera solamente quattro. La sua brevità è compensata da quattro “minacce” rivolte a quelli che vivono nella situazione opposta. Sono da notare il modo di rivolgersi ai discepoli con la seconda persona plurale “voi”, molto più diretto dell’”essi” utilizzato da Matteo. Luca ambienta questa proclamazione di Gesù in una scena significativa in cui si distinguono più ascoltatori: i dodici apostoli, i discepoli, e il popolo giudeo e pagano, segno dell’universalità del messaggio. Le prime tre beatitudini (povertà, fame, dolore) sono considerate sinonimi, espressioni di una stessa idea, cioè la croce di ogni giorno. La quarta si rallegra con i perseguitati (calunniati, derisi, esclusi) per il fatto di essere cristiani cioè di Cristo. Sono coloro che non vendono la loro lealtà per l’applauso facile. I poveri, quelli che piangono, quelli che hanno fame, quelli che sono perseguitati non sono categorie diverse ma aspetti di una stessa realtà: la fedeltà al vangelo. Non i poveri, esclusivamente come categoria sociale, ma tutti noi che sperimentiamo la fragilità, il male, il limite connaturato alla condizione umana. Le beatitudini sono il cuore del vangelo, ci convocano ad una risposta esistenziale radicale. “Beati” è sinonimo di “in piedi” parola colma di vita. Al contrario, la disgrazia dei sazi e soddisfatti: questi si preoccupano solo delle cose terrene. Gesù evidenzia la banalità della ricchezza materiale, comunemente intesa, il successo a scapito degli altri. 

Don Ivan Leto


parroco di San Gordiano


Diocesi Civitavecchia - Tarquinia