“La presenza di zenzero nel tartaro dentale degli individui sepolti nel lebbrosario di St.Leonard a Peterborough (Inghilterra, Ndr) apre nuove prospettive nella ricerca archeologica della medicina medievale e antica”. Così Elena Fiorin, responsabile del progetto Marie Sklodowska-Curie e attualmente ricercatrice del dipartimento di Scienze odontostomatologiche e maxillo facciali della Sapienza, commenta i risultati di un progetto di ricerca internazionale coordinato dalla Sapienza Università di Roma che ha individuato, per la prima volta in Europa, la presenza dello zenzero (Zingiber officinale) in individui vissuti in epoca medioevale e affetti dalla malattia di Hansen, meglio conosciuta come lebbra. I risultati - si legge in una nota - sono stati ottenuti grazie all’identificazione dei microresti di origine vegetale intrappolati all’interno del tartaro dentale prelevato da resti scheletrici provenienti dal lebbrosario inglese di Peterborough.

Lo studio, pubblicato sulla rivista Scientific Reports - e frutto della collaborazione tra il laboratorio Dante (Diet and Ancient Technology) del Dipartimento di Scienze odontostomatologiche e maxillo facciali della Sapienza, l’università di Roma Tor Vergata e le università inglesi di Durham, Warwick e Nottingham - si inserisce nel filone di ricerca del progetto Medical (Medical treatments in medieval leprosaria. Exploring healing remedies through dental calculus analysis) finanziato dall’Unione europea e intrapreso con il sostegno del programma di azioni Marie Sklodowska-Curie.

“Lo zenzero – spiega Fiorin – è una spezia di origine esotica che in passato era difficile da reperire e quindi particolarmente costosa. Era impiegato nella composizione di preparati medicinali poiché si riteneva possedesse proprietà terapeutiche utili per curare diverse malattie e, in particolare, la lebbra. Finora, però, non era mai stata individuata un’evidenza archeologica dell’uso dello zenzero in associazione della lebbra, che è una malattia davvero iconica nell’Europa medioevale”. Questi risultati “sono un’ulteriore conferma - osserva Emanuela Cristiani supervisor del progetto Medical – di come il tartaro, un deposito di placca dentale mineralizzata che si forma sui denti, ci restituisca dati importantissimi che ci permettono di ricostruire la dieta, lo stato di salute, e le condizioni di vita delle popolazioni antiche. Negli ultimi anni ha inoltre fornito informazioni sui rimedi medici e curativi del passato che altrimenti sarebbero rimasti invisibili nel record archeologico”.