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Cambiano le abitudini alimentari delle famiglie: sulle tavole degli italiani sempre meno carne e pesce, si fanno sempre più acquisti nei discount e si fa attenzione ai prodotti in promozione.
È quanto emerge dal progetto “Food MeaSure: Poverty, Vulnerable Individuals and Sustainable Diets – New Perspectives on Official Statistical Data”, finanziato dal ministero dell’Università e della Ricerca e coordinato dalla professoressa Ilaria Benedetti, docente di Statistica Economica presso l’Università della Tuscia.
La ricerca ha coinvolto studiosi e studiose dell’Università della Tuscia, dell’Università di Pisa e di Roma Tre, unendo competenze diverse con un obiettivo comune: misurare per comprendere e comprendere per agire. La conferenza finale, ospitata oggi presso l’Aula Magna del Rettorato in occasione della Giornata Mondiale dell’Alimentazione, ha presentato i risultati di un’indagine che integra economia, statistica, nutrizione e sociologia per offrire una misura nuova e scientificamente solida della povertà alimentare in Italia.
Partendo dai dati ufficiali sui prezzi dei prodotti alimentari, il progetto Food MeaSure ha costruito per la prima volta un dataset mensile del costo di una dieta sana e sostenibile nelle 107 province italiane, con oltre 220 mila osservazioni. L’analisi ha stimato il costo di una dieta equilibrata, distinta per età e genere, incrociando i prezzi di 167 prodotti alimentari con le raccomandazioni nutrizionali nazionali (CREA e LARN) per il periodo 2021–2024.
Secondo lo studio in Italia, quasi una famiglia su dieci (9,9%) non riesce a permettersi un pasto proteico adeguato ogni due giorni, a fronte di una media europea pari all’8,5%. Nel 2024, la quota di famiglie italiane in questa condizione è aumentata di 1,5 punti percentuali rispetto all’anno precedente. Questa difficoltà riflette la crescente pressione che l’aumento dei prezzi esercita sui bilanci domestici, in particolare tra i nuclei più vulnerabili.
Circa una famiglia su tre (30%) dichiara di aver modificato la propria dieta, riducendo la qualità o la quantità degli alimenti acquistati.
«Food MeaSure rappresenta – ha dichiarato Tiziana Laureti, rettrice designata dell’Università degli Studi della Tuscia – un esempio concreto di come la statistica economica possa trasformarsi in uno strumento di politica pubblica basata sull’evidenza, capace di orientare scelte e risorse verso obiettivi di equità e sostenibilità. Questo progetto dimostra che la misurazione, quando è fondata su dati ufficiali e metodi rigorosi, non è un esercizio accademico ma un atto di responsabilità sociale».
«Con Food MeaSure – ha spiegato la professoressa Ilaria Benedetti, Principal Investigator del progetto – abbiamo voluto dare alla povertà alimentare una definizione più ampia e una misurazione più precisa, capace di coglierne le molte dimensioni economiche e sociali. L’obiettivo non era solo descrivere un fenomeno, ma rendere visibile ciò che spesso resta invisibile, fornendo strumenti utili a chi deve progettare politiche pubbliche più mirate ed eque. È una ricerca che dimostra come i dati, quando vengono letti con sguardo interdisciplinare, possano diventare un motore di comprensione e di cambiamento».
I risultati mostrano forti differenze territoriali: il costo medio mensile di una dieta equilibrata per un adulto si aggira intorno ai 170 euro, con valori inferiori a 150 euro nelle province del Sud e superiori ai 200 euro nelle aree metropolitane del Nord. Per bambini e adolescenti, la spesa varia da 60 a 100 euro, mentre per gli anziani si attesta intorno ai 160 euro, con un aumento nei mesi invernali a causa della stagionalità e della filiera di approvvigionamento.
«In un contesto in cui la conoscenza statistica è indispensabile per interpretare la complessità economica e sociale del Paese – conclude la professoressa Laureti – la ricerca universitaria svolge un ruolo strategico: fornire strumenti solidi per comprendere le disuguaglianze e contribuire, con competenza e visione, alla costruzione di politiche più giuste. È questa la missione più autentica dell’università: produrre conoscenza utile, capace di generare valore collettivo e futuro per l’Italia».