CIVITAVECCHIA – A 34 anni dalla scomparsa del figlio Francesco, Gianfranco Forno torna a farsi sentire. «Nel ’98, con grande sacrificio, portammo la camera al porto. Funzionò fino al 2005; poi fu spostata in una struttura che doveva essere definitiva e da lì non si è fatto più nulla», ricorda. Quella civitavecchiese, sottolinea, era «la più nuova, la più moderna». Oggi «è rimasta a funzionare solo quella dell’ospedale San Giovanni».

Forno ripercorre anni di attese e solleciti: «Non vedendo una via d’uscita abbiamo rallentato, ma appelli al Comune e all’Autorità Portuale non si sono mai fermati». Secondo le stime di allora «per rimetterla in funzione sarebbero bastati 250mila euro»: oggi la cifra è incerta, «ma è stato un peccato lasciare morire la cosa, nonostante l’interesse di alcune società».

Il cuore dell’intervento è la richiesta di chiarezza: «Quando l’abbiamo gestita per circa cinque anni abbiamo lavorato H24. Bisogna capire le intenzioni, una volta per tutte». «Se ne è parlato, ma al momento non mi pare sia stato fatto nulla», aggiunge.

Non si parla solo di emergenze subacquee. «Parliamo di dodici terapie possibili con l’ossigenoterapia iperbarica», ricorda Forno, convinto che Civitavecchia debba rimettere in moto un servizio che «ha lavorato prima del trasferimento». L’appello finale: «Qualcuno riprenda seriamente in mano il progetto. La nostra era la macchina più moderna: facciamo in modo che torni a servire la città».

Il padre di Francesco insiste anche sul valore civile di quel presidio: «Non è un vezzo: riguarda sub, pescatori, lavoratori del porto e comuni cittadini». Per Forno la strada è chiara: individuare una sede definitiva, definire chi gestirà l’impianto e attivare le risorse. «Basta rinvii: serve una decisione politica, oggi». Un appello accorato che negli anni non ha mai perso il suo vigore, anche alla luce della necessità di arrivare fino a Grosseto in caso di emergenze o, appunto, nell’ospedale capitolino.

©RIPRODUZIONE RISERVATA