di GIULIANA OLZAI



 



CERVETERI - Domani in Corte d’Assise a Roma seconda udienza del processo Vannini, il 20enne di Cerveteri ucciso un anno fa, a Ladispoli, da un colpo di pistola partito dall’arma del papà dell’ex fidanzata, Antonio Ciontoli. A sfilare davanti al Collegio giudicante, presidente Anna Argento e giudice a latere, Sandro Di Lorenzo, i primi testimoni d’accusa, rappresentata dal pubblico ministero Alessandra D’amore. I testimoni da esaminare sono: il Maggiore Ceccarelli (ex Comandante della Compagnia dei Carabinieri di Civitavecchia); l’appuntato Andrea Fusari e il carabiniere Francesco Merola (entrambi in servizio presso la Stazione dei Carabinieri di Ladispoli); e infine Cristian Cutini Calisti, autista del 118, il primo soccorritore che si recò nella villetta dei Ciontoli in via Alcide de Gasperi a Ladispoli. L’appuntato Fusaro è l’agente di polizia giudiziaria che si è recato al PIT accompagnato dal carabiniere scelto Salvatore Maraucci, all’una meno dieci circa del 18 maggio 2015 in seguito alla segnalazione della centrale del 118 al 113 di Roma, di una persona ferita al braccio destro da un colpo di arma da fuoco. Sul posto hanno identificato il Ciontoli che «sommariamente riferiva che mentre stava pulendo l’arma d’ordinanza calibro 9 corto, partiva accidentalmente da questa un colpo che raggiungeva al braccio destro il ragazzo di sua figlia». Hanno avvertito i superiori e provveduto a portare in caserma il Ciontoli. Il carabiniere Francesco Merola, in servizio alla Stazione di Ladispoli, è l’agente di Polizia Giudiziaria che ha ricevuto la chiamata da parte del personale del ‘’113’’. L’operatore gli ha segnalato che il personale Ares 118 era intervenuto presso l’abitazione dei Ciontoli per segnalazione di una persona ferita a seguito di una caduta accidentale nella vasca da bagno e che giunti sul posto hanno provveduto a trasportare il ferito al PIT dove il medico di guardia visitata la persona, giudicava la ferita riportata a seguito di evidente colpo di arma da fuoco. Il carabiniere informato altresì della gravità dei fatti e dell’imminente pericolo di vita provvedeva ad avvertire la pattuglia in servizio che si recava immediatamente al PIT e procedeva ai primi rilievi del caso. Parimenti allertava i superiori. Con la deposizione dell’autista del 118, Cristian Cutini Calisti, ascoltato come persona informata sui fatti prima dai carabinieri del Comando di Civitavecchia e successivamente dal pubblico ministero Alessandra D’Amore, si entrerà nel vivo di quella tragica sera. L’escussione verterà su due aspetti rilevanti. Il primo quando si è recato a casa dei Ciontoli «per soccorrere – come gli è stato detto - un ragazzo con ferita da punta di un pettine in preda ad una crisi di panico». Il secondo: quello che successe al PIT. Nel verbale di sommarie informazioni ha dichiarato che giunto con l’ambulanza, accompagnato dalla collega Ilaria Bianchi, nei pressi dell’abitazione dei Ciontoli erano presenti un ragazzo e due ragazze successivamente individuate nella ricognizione fotografica in presenza del pubblico mistero D’Amore come Federico e Martina Ciontoli, e Viola Giorgini. Sono state le due ragazze ad indicargli il numero civico esatto. Martina quando gli è stato chiesto cosa fosse successo, ha risposto che «non sapeva riferire perché non era presente al momento in cui il ragazzo si era sentito male». Un dato importante è che in casa, quando i soccorritori sono arrivati erano presenti tutti i componenti della famiglia Ciontoli e la fidanzata del figlio, Viola Giorgini. Marco Vannini era sdraiato a terra subito dopo l’ingresso della villetta con la moglie del Ciontoli, Maria Pezzillo, che gli teneva le gambe sollevate. Ilaria prova a parlare con Marco per farsi dire cosa era successo ma è Ciontoli che riferisce che «c’era stato uno sfottò per via delle partite di calcio e che il ragazzo, in bagno, era inciampato e si era ferito con un pettine appuntito». I soccorritori cercano di far riprendere il ragazzo pensando fosse un attacco di panico ma viste le sue condizioni decidono di portarlo al PIT. Marco, ferito, discende le scale con le sue gambe sostenuto da Ciontoli e suo figlio. Solo al termine della scalinata i soccorritori lo hanno aiutato per metterlo nella barella. Arrivati al PIT erano già presenti i genitori di Marco. Mentre Marco era in sala di medicazione, Ciontoli, mostrando il tesserino e dicendo di essere un carabiniere, chiede di voler parlare urgentemente col medico di guardia. Così Cutini informa il dottor Matera ma non ha comunque assistito al loro colloquio. Quando il medico è rientrato informa i presenti che Marco era stato ferito da un colpo di arma da fuoco e che quindi la procedura per soccorrerlo sarebbe stata diversa. Si attiva quindi immediatamente l’elisoccorso.



Anche la mamma di Marco chiede spiegazioni all’autista che comunque non le ha riferito niente, però ha provveduto ad informare il medico della presenza dei familiari del paziente. All’esterno era presente anche Ciontoli che dice Cutini «piangeva e quasi gridando si disperava dicendo che avrebbe perso il posto di lavoro». Ci si prepara per il trasferimento di Marco all’eliambulanza. Mamma Marina e papà Valerio hanno visto per un attimo il loro amato figlio prima del suo trasferimento in elicottero. Ma dopo pochi minuti che questo si è levato in volo, repentinamente inverte la rotta e comincia la manovra di atterraggio. Cutini e la Bianchi hanno intuito che probabilmente il ferito era andato in arresto cardiaco e a loro volta tornano indietro con la loro ambulanza sulla pista ed effettuano con il personale dell’elisoccorso le manovre rianimatorie per circa un’ora, purtroppo senza successo. Alle tre e dieci circa il medico dell’eliambulanza ha dichiarato la morte di Marco, che rimesso in barella è stato riportato al PIT. L’autista dice anche che Marco, prima di essere sedato per essere trasportato in eliambulanza, ha più volte gridato, negli attimi di lucidità "aiuto ragazzi". Dice anche che l’hanno dovuto trattenere in quattro perché nei momenti di agitazione mostrava una forza spropositata. Aggiunge che ha aiutato gli infermieri a spogliare Marco, e ne descrive i pantaloni che indossava. Specifica anche che era presente quando in medico «lo ha ispezionato cercando il foro d’uscita non riscontrando nulla, era presente solo un piccolo foro sul braccio. L’ogiva non era visibile né erano presenti ecchimosi sul corpo. Ci siamo accorti dell’ogiva una volta deceduto quando lo abbiamo spostato e al tatto abbiamo ne percepito la presenza sull’emitorace sinistro».