Una testimonianza diretta del dramma dei bombardamenti su Viterbo città che, oggi, ricordano quello più drammatico che causò circa 100 morti e centinaia di feriti il 17 gennaio 1944. E’ stata quella fatta ieri, nella sala consiliare del Comune di Viterbo, da Melania Fedeli, 93 anni, una delle poche superstiti di quel terribile giorno in cui furono colpite particolarmente le zone della stazione di Porta Fiorentina, la Roma Nord e l’autostazione delle autolinee Garbini.

Melania è stata accompagnata dal figlio Alberto Brozzi. L’incontro è stato organizzato dal gruppo di FdI ed ha visto la partecipazione degli assessori Aronne, Floris ed Angiani, del presidente del consiglio comunale Ciorba e dei consiglieri Allegrini, Sberna, Martinengo, Croci. Presenti anche il presidente nazionale del Comitato 10 Febbraio Silvano Olmi e Maurizio Federici. Quel 17 gennaio 1944 l’orario in cui avvenne l’incursione di 50 quadrimotori Liberator americani, le 13.15, è tra i motivi dell’alto numero di morti per le persone che si spostavano su ferrovia ed autobus. «Il più tremendo bombardamento – ha detto la signora Melania Fedeli - è stato però quello del 26 maggio 1944: ci fu un grande polverone e il cielo era diventato invisibile. Quando riuscimmo a vedere intorno a noi trovammo via Garibaldi, via Matteotti e piazza Fontana Grande devastate in un cumulo di macerie».

La testimonianza di Melania Fedeli spazia descrivendo particolari spesso non conosciuti dei quel periodo. «Quando ci fu la destituzione di Mussolini – dice ancora Melania – verso l’una di notte sentimmo rumore per la strada e vedemmo che c’era mezza Viterbo, non fatemi fare nomi, anche persone di alto ceto, che saccheggiavano l’Opera Balilla. In due giorni fu portato via tutto. Anche bambini di 10-12 anni furono mandati al saccheggio. Tanti mobili pregiati dell’epoca furono portati via e tanto altro». «Mia zia era padrona dei ristoranti Tre Re e dell’Antico Angelo – continua la signora Fedeli -: i sottufficiali tedeschi andavano al primo, più semplice, gli ufficiali al secondo che era più regale. Visto che per noi non c’era da mangiare mia zia ci dava gli avanzi dei piatti dei tedeschi che portavo con un sacchetto a casa».

Melania ha poi ricordato i rifugi nel centro storico di Viterbo «in cui stavamo tutti attaccati e, spesso, c’era gente malata e si prendevano tutte le malattie, specialmente della pelle. Era il periodo del bombardamento del 26 maggio, in cui Viterbo fu rasa al suolo, peggio del 17 gennaio. Facemmo capolino ma i tedeschi, in modo duro, ci rifecero scendere. Premetto che le sirene in parte non funzionavano e San Sisto, dov’era una delle sirene, era stata distrutta con il parroco che morì tentando di salvare il calice e le ostie ma gli venne giù tutta la chiesa».

Ed una curiosità. «Tutti i palazzi importanti, costruiti dal Fascismo e monumenti storici – dice Melania – per un accordo militare furono risparmiati. A Viterbo per questo non furono distrutti l’Opera Balilla, il palazzo dell’Economia, la Federazione fascista di via San Lorenzo. Via Carletti si salvò per questo».

Ha quindi ricordato il giornalista Aldo Cappellani, che poi divenne il segretario di Giulio Andreotti. «Cappellani ci invitava nella zona di Porta Romana in cui era tutto un boschetto allora – dice ancora – e c’era una rivendita in cui noi ascoltavamo Radio Londra per sapere, dalla voce di Fiorello La Guardia, dell’avanzata degli Alleati. Il 17 gennaio 1944 alcuni andavano a passeggio in quella zona quando improvvisamente iniziarono i bombardamenti. Tanti viterbesi erano in quei punti per camminare o c’erano studenti e viaggiatori che arrivavano col treno da Roma per scambiare castagne ed altri generi alimentari con ori e lenzuola di lino. Non con soldi». Quindi la testimonianza del dramma. «Sotto quel bombardamento del 17 gennaio 1944 morirono soprattutto ragazzetti di 12-13 anni – precisa Melania Fedeli – che tornavano con i mezzi verso i loro paesi perché all’epoca non c’erano le scuole medie fuori Viterbo. Un mio zio, inoltre, Luigi Gobbi, si trovò nel pieno del bombardamento. Stava tornando da Proceno dov’era andato a fare rifornimento per la campagna che aveva: si trovò in mezzo al bombardamento ma si salvò perché una donna lo abbracciò spingendolo sotto un architrave».