CIVITAVECCHIA – «Una diagnosi tempestiva in vita, una appropriata terapia dell’insufficienza coronarica e non ultimo il divieto di svolgere attività sportiva agonistica ben avrebbero potuto prevenire l’arresto cardiaco e la morte improvvisa di Gagliardini. Ciò appare avvalorato dalle conclusioni raggiunte dal perito, ben argomentate e rimaste sotto questo aspetto incontestate, secondo cui i tratti distali coronarici esaminati risultavano adeguati alla rivascolarizzazione interventistica o chirurgica».

È uno dei passaggi chiave delle motivazioni della sentenza per la morte del giovane calciatore Flavio Gagliardini, avvenuta sul campo del Dlf ad ottobre 2015, durante un allenamento con la sua squadra, la Csl. A fine gennaio la dottoressa Eleonora Calevi ha condannato il presidente della Csl Vitaliano Villotti ad un anno e otto mesi, il medico sportivo Gianfranco Iacomelli a due anni e l’allora primario di cardiologia del San Paolo Marco Di Gennaro ad un anno e otto mesi, e martedì scorso sono state depositate le motivazione che l’hanno portata a queste conclusioni nei confronti dei tre imputati.

Ricostruendo quanto avvenuto nei due anni precedenti il decesso, le problematiche di salute, e quanto emerso nel corso del dibattimento, il giudice da un lato ha evidenziato “la genuinità delle testimonianze dei familiari”, sottolineando “l’assenza di criticità incidenti sul profilo della credibilità oggettiva, non essendo emersi, oltre al dolore della perdita, rancore o astio da poter incidere sulla genuinità della deposizione viziandola in modo più o meno consapevole”. Dall’altro ha invece messo nero su bianco le diverse responsabilità. Il presidente della Csl, ad esempio, avrebbe consentito a Gagliardini di giocare ed allenarsi pur in assenza di materiale possesso del certificato medico di idoneità. Per il medico sportivo, appunto, si parla di “superficialità dell’operato, non avendo redatto il certificato “essendo in attesa di visionare gli esiti degli accertamenti svolti e di approfondire le problematiche di salute che li avevano resi necessari” senza comunicare nulla né alla società né allo stesso gagliardini. Infine al cardiologo viene contestata “l’imprudenza insita nel mancato svolgimento di accertamenti ulteriori in grado di escludere il dubbio, a fronte di una possibilità diagnostica da lui ritenuta remota”.

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