CIVITAVECCHIA – Già sei missioni in Afghanistan ed una in Libia alle spalle. Dovrebbe averle viste tutte, o comunque avere un bagaglio di esperienza piuttosto pieno il tenente colonnello dell’Esercito Valerio Stroppa, ortopedico specializzato nella chirurgia della mano, civitavecchiese, in servizio presso il Policlinico Militare del Celio, a Roma, diretto dal generale Carlo Catalano. E invece i due mesi a bordo della nave della Marina Militare Vulcano - unità su cui è stato allestito un ospedale da campo con assetto Role 2 - sicuramente rimarranno ben impressi nella sua mente.

Il chirurgo civitavecchiese ha fatto parte della squadra medica operativa interforze composta da personale di Marina, Esercito e Aeronautica, che dal 1 dicembre al 6 febbraio ha operato a bordo di Vulcano, attraccata al porto di Al Arish, in Egitto, a 40 km da Gaza. «Siamo stati allertati 48 ore prima - ha raccontato il ten. col. Stroppa - siamo stati catapultati a Cipro e poi al porto egiziano». A bordo pazienti di ogni tipo, da un anno di vita agli 80 anni, donne e uomini, pazienti cronici e acuti. L’ospedale da campo era stato allestito con assetto Role 2 (sono 4 i livelli di assistenza per gli standard Nato), ma ha dovuto spesso operare con livelli chirurgici superiori, dovendo eseguire interventi delicati e particolari, tra l’altro a bordo di una nave, con attrezzature base.

«Ma il personale medico ed infermieristico presente e l’esperienza al Celio hanno permesso di svolgere al meglio le operazioni. Arrivavano pazienti dai campi profughi della Striscia di Gaza - ha aggiunto - venivano trasportati a bordo dalle autorità egiziane quando il valico però era aperto. Avevamo di fronte anche malati cronici, oncologici ad esempio: lì ormai era collassato tutto. Ho eseguito un intervento di trapianto di un nervo su una donna di 38 anni: era completamente paralizzata alla mano e per di più aveva assistito alla perdita del nipotino. Ha ritrovato al mobilità e la sensibilità. Perché a bordo arrivavano tutti senza speranza; noi abbiamo contribuito a far tornare una luce».

Immagini forti, davanti ai loro occhi, e soprattutto storie di dolore e tragedie. «Non avevano bisogno solo di cure mediche - ha assicurato - serviva un supporto psicologico. Due fratelli di 12 e 16 anni avevano perso tutti. Una donna aveva con sé tre dei suoi sei figli: gli altri erano morti. E poi i disegni dei bambini, con teschi dal cielo e figure colorate di grigio, perché scomparse. Siamo abituati, come medici, ad operare in urgenza ed emergenza, avere davanti scene cruente: ma di adulti e soldati. Su Vulcano è stato diverso. Davanti a noi c’era gente e soprattutto bambini e ragazzi che la guerra non l’avevano mai vista né vissuta, ma l’hanno subìta all’improvviso: quello è stato il trauma più grande».

Di una cosa è certo il tenente colonnello Stroppa. «È stata un’esperienza professionalmente ed umanamente forte, toccante - ha concluso - ma la rifarei subito».

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