Certificati falsi per misure alternative ai detenuti di Rebibbia e traffico di droga. Ha interessato anche la Tuscia l’indagine della Dda di Roma che ha portato all’emissione di 32 misure cautelari eseguite ieri dai carabinieri a Roma e nelle province di Viterbo, Napoli, Avellino, L'Aquila, Teramo, Imperia e Bergamo.
Due i filoni d’inchiesta. Il primo ha portato alla luce un sistema illecito, all’interno del Servizio per le dipendenze (Ser.D.) dell’Asl Roma 2 che opera nel carcere di Rebibbia, per far ottenere ai detenuti, attraverso certificazioni false, misure alternative ai detenuti. A promuoverlo uno psicologo. Quattro gli indagati: due ai domiciliari e altrettanti sospesi dal lavoro per un anno. Le accuse vanno da false dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all'autorità giudiziaria, falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici, corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio e turbata libertà del procedimento di scelta del contraente.
Nell’altro filone, invece, sono 28 le persone indagate per detenzione e associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. Nella vicenda avrebbe avuto un ruolo determinante un noto narcotrafficante, detenuto nel penitenziario romano. Gli investigatori ipotizzano che intrattenesse contatti con lo psicologo del Serd. Secondo gli inquirenti, pur ristretto in carcere avrebbe continuato a promuovere un’associazione finalizzata al traffico di droga operante perlopiù nel quadrante sud-est della Capitale: da Tor Bella Monaca a Cinecittà-Tuscolano a Valle Martella di Zagarolo grazie alla complicità di due avvocati, uno dei quali arrestato, incaricati di trasmettere messaggi e direttive da e per l’esterno e che, ipotizzano gli investigatori, abbiano anche introdotto a Rebibbia cellulari e stupefacenti.
Uno dei due avvocati arrestati è Lucia Gargano, già arrestata insieme a Salvatore Casamonica nell'ambito dell’inchiesta sulla «pax mafiosa» a Ostia.
Gargano, secondo gli investigatori, si sarebbe avvalsa della sua qualifica di avvocato per favorire i contatti dei trafficanti allora detenuti con l'esterno salvaguardandone gli affari.