di MATTEO MARINARO

Era il 9 maggio del 1978, quando dopo 55 giorni di agonia si concludeva il caso Aldo Moro con il ritrovamento del suo cadavere nel vano posteriore di una Renault 4 rossa, parcheggiata in via Michelangelo Caetani, a due passi dalla sede del Pci di via delle Botteghe Oscure e a poca distanza da quella Dc di piazza del Gesù (non a ‘meta’ strada’ tra le due, come si è spesso scritto). Cinquantacinque giorni che avrebbero cambiando per sempre la storia d’Italia, che ha visto nell’assassinio di Aldo Moro una delle pagine, più tristi, tetre e misteriose delle democrazie moderne. La settimana passata, 9 maggio 2008, ricorreva il trentesimo anniversario di quei fatti. Di recente, il regista Carlo Infanti ha presentato il primo film d’inchiesta che sia mai stato girato su questo caso. Basta leggere il titolo della pellicola ‘’Moro, La Verita’ Negata’’ per sentire di nuovo salire quel groppo alla gola di chi ha già visto come me il corpo esangue del presidente della Dc comparire con tutta la sua straziante eloquenza avvolto dalle coperte in quel maledetto cofano della Renault 4 delle Br. Il quotidiano La Provincia ha intervistato il regista del film Carlo Infanti per andare nelle viscere della storia della Repubblica Italiana di quegli anni.
Trent’anni fà veniva rapito e ucciso Aldo Moro, presidente della Dc, già ministro degli Esteri e presidente del Consiglio. Infanti, il suo film è già stato selezionato al Festival del Cinema di Cannes, 2008, all’Internazionale Critics ‘ Week 2008 e al Quinzaine des Rèalisateurs 2008. Come nasce questa idea cinematografica?
«Per gioco. Tanti film e tanti libri sono stati pubblicati e prodotti su questa storia, ma come sempre la verità non è mai unica, univoca. Mai come in questo caso si può parlare di verità, anzi parafrasando il titolo del mio film ‘‘verità negate’’.
La mattina del 16 marzo 1978, giorno in cui il nuovo governo, guidato da Giulio Andreotti, stava per presentarsi in Parlamento per ottenere la fiducia, l’auto che trasportava Moro, dalla sua abitazione alla Camera dei Deputati, fu intercettata in via Mario Fani, Le Br in pochi secondi, fecero una carneficina degli uomini della scorta e sequestrarono il presidente. Cosa è successo in quei 55 giorni?
«Di tutto e di più. Anche quella sparatoria è decisamente andata in un altro modo, e nel film si capisce. Non è un documentario, nè una narrazione: è un’inchiesta come mai è stata fatta sul più grande, controverso e oscuro delitto politico che la storia italiana ed europea del dopoguerra ricordi. Un delitto che trascina i suoi effetti sino ai giorni nostri e sul quale, non solo le indagini ma anche le inchieste successive sono state poco chiare. Voglio capire veramente perchè nella primavera del 1978 Aldo Moro sia stato rapito per essere assassinato. Ho letto e trovato ‘‘verità negate’’ in oltre 70 faldoni di documenti. Sono tante le perplessità emerse. Per esempio la famosa seduta spiritica del 2 aprile 1978. Sei professori dell’università di Bologna, fra i quali Romano Prodi, fanno muovere un piattino su un foglio recante le lettere dell’alfabeto. In quella stanza ci sono anche Mario Baldassarri e Alberto Clò (ministro dell’Industria nel governo Dini e proprietario della casa di campagna nella quale si svolsero i fatti). L’ “entità” (come risulterà dai verbali erano gli spiriti di Don Sturzo e La Pira) avrebbe enunciato le seguenti parole: Viterbo, Bolsena e “Gradoli”. Quest’ultima in particolare era riconducibile alla prigione di Moro. Su segnalazione dall’aldilà quindi, il 6 aprile viene organizzata una perlustrazione a Gradoli, un paesino in provincia di Viterbo. Ben 150 uomini delle forze dell’ordine misero ‘‘a ferro e fuoco’’ la cittadina. Risultato? Un buco nell’acqua. Solo dopo l’Italia saprà che Gradoli significava terzo piano della palazzina al numero 96 di via Gradoli, una stradina residenziale sulla via Cassia a Roma dove più che un covo delle Br c’era un arsenale con esplosivi, munizioni, armi, mappe, bandiere, piani, schede, radio e documenti autografi che certificano che quell’appartamento è stato utilizzato da Mario Moretti. Colui che fino al quel momento era ‘‘nessuno’’ diventa capo delle Br. Perchè dubitarne? Dentro quella casa trovarono anche le divise dell’Alitalia, utilizzate in via Fani».
Molti italiani, pensano che la seduta spiritica sia stata una bufala. Anche lei si schiera tra questi scettici?
«Il fatto è che considerano il popolo italiano un popolo bue. Ho fatto questo film per il gusto e il diritto di vergognarci di noi e come prova offro tante verità nascoste. È bastato telefonare all’Arpa di Bologna e farsi mandare a casa le previsioni meteoe del giorno in cui venne fatto lo ‘‘spiritismo’’ per venire a sapere che non pioveva affatto e non era una giornata uggiosa come invece dichiarano i partecipanti».
Queste verità riscrivono la nostra storia. Cos’è stato raccontato agli italiani?
«Contattando il sindaco della giunta del 1978 sono venuto a sapere che questa perquisizione a Gradoli, non c’è mai stata. Per trent’anni il ministro dell’interno Francesco Cossiga e tanti altri illustri, come Giovanni Pellegrino, presidente della Commissione Stragi, ribadiscono tutta questa faccenda anche in un libro che è uscito poco tempo fà. In via Gradoli a Roma c’erano gli appartamenti del Sisde, il servizio segreto voluto da Cossiga. Nel film si vede chiaramente che via Gradoli aveva un legame con uno degli ‘‘spiritisti’’.
Nessuno fece perquisizioni nel paese di Gradoli, sul lago di Bolsena, neppure vennero fatte delle ricerche. Il filmato della Rai, che mostra i carabinieri mentre fanno irruzione nelle case, è fasullo. Tre giornalisti (del Messaggero, dell’Avanti e dell’Unità con uno di essi che dirige ancora oggi un importante quotidiano) si recarono in quel posto. Non venne scritta neanche una parola su quella messa in scena».
Proprio la settimana scorsa è stato trasmessa su Canale 5 la miniserie in due puntate su Moro interpretato da Michele Placido. Abbiamo visto il presidente vestire altri panni, quelli del nonno e del marito. Lei ha contattato i familiari in questo suo film?
«Maria Fida, primogenita dei quattro figli del leader democristiano e madre di Luca, il nipote piu’ volte citato nelle lettere di Moro partecipa in prima persona nella pellicola. Fida non sposa nessuna teoria su suo padre. Nel film ha deciso di girare le scene seduta nel baule di quella stessa macchina che tante volte ha mostrato al mondo interno la morte di suo padre, ricordando e raccontando all’Italia e all’umanità che il presidente era anche altro nella vita. Era stato un padre, un nonno e tante altre cose».
Che emozioni trasmette il film a chi ha vissuto quegli anni in prima persona ?
«Innanzitutto mi domando se ci sarà qualcuno che avrà il coraggio di distribuire questo film in Italia. Una frase su tutte esprime secondo me quello che in realtà ha lasciato nel cuore degli italiani la morte di Aldo Moro. Sono le parole del Capo di Stato Maggiore Piero La Porta: “La mia generazione doveva difenderlo e invece e’ stata spettatrice del suo dramma quando non complice’’. Detto da lui fa capire che quella generazione, evidentemente ha sbagliato qualcosa».