Don Ivan Leto*

La parabola del seminatore sembra il racconto di una catastrofe, di un fallimento: gli uccelli mangiano il seme, le pietre gli impediscono di crescere, le spine lo soffocano. Ma la parabola spiega il mistero del Regno e della vita stessa di Gesù: è Lui il seme caduto a terra e morto. Il seme cade a terra. Si lascia andare, si espone alla volontà degli uomini, all'ostilità di ogni terreno; non ha protezione. La terra lo disfa, quasi lo distrugge. E così il seme rinasce, fruttifica; più affonda più riesplode, riempendo la spiga di cento nuovi semi. L'agricoltore è mestiere all'aria aperta. Come quello del pescatore: siccome Gesù è sulla riva del lago, terminerà con una grande pesca. La semina, come la pesca, è un'avventura a due. Il titolo lo dà Gesù: "la parabola del seminatore" che inizia col comando "Ascoltate!".

L'ascolto fa entrare nella beatitudine, nel profondo, perché rende fertile il cuore di chi lo pratica. Tutto è in rapporto alla Parola. Il seme che porta frutto è quello di chi ascolta la Parola. Il gesto del seminatore è largo, generoso; un abbraccio dell'orizzonte. Anche la semina è abbondante, pare uno spreco.

Il Figlio che esce dalla casa del Padre sparge la parola, se stesso, senza guardare a come siamo. Così erano i terreni e il modo abituale di seminare nella Palestina dei tempi di Gesù. La strada era un tratturo, strada di campagna; le spine si toglievano dopo e i campi erano sassosi. Povero il terreno e povero il seminatore. Da questa povertà viene però l'abbondanza della storia di Dio in mezzo agli uomini. Quando Gesù spiega la parabola ai discepoli, usa più volte i verbi udire, vedere, intendere. Sono passati duemila anni da quel racconto e la parabola del seme ha ancora tutto il suo valore, perché al centro di essa non sta né il seminatore, né il terreno, ma il seme, la Parola di Dio. Nel corso dei secoli i seminatori e i terreni cambiano, la Parola resta.

Don Ivan Leto

sacerdote della Diocesi

Civitavecchia - Tarquinia