Don Ivan Leto*

Il ripensamento è importante. Permette al figlio prodigo di tornare in vita e passare, dalla condizione di guardiano di porci a quella di fratello e figlio amato.

Ripensare è pentirsi, rammaricarsi, convertirsi.

L'inizio è sempre del Signore che ci si avvicina e ci manda a lavorare nella vigna, a operare. Tutti uguali: sacerdoti e anziani, pubblicani e prostitute. Tutti racchiusi tra misericordia e conversione.

Non ci sono categorie favorite e nessuno è privilegiato; quello che fa la differenza è "l'aver creduto a Giovanni", il profeta dell'appello a cambiar vita.

Un altro modo di capire che ciò che conta è andare nella vigna e darsi da fare. E se sono pochi quelli che obbediscono, allora ci soccorre il pentimento a portarci a Lui che ci si fa vicino – lui per primo – ad ogni ora del giorno. Gesù inizia spesso con una domanda. Anche oggi: "Che ve ne pare?". Vuole portarci a riflettere, cercare, smuoverci. La domanda non riguarda solo lo svolgersi della parabola, ma anche l'esito della storia che vede arrivare prima pubblicani e prostitute. "Che ve ne pare?". Il tempio, la vigna, Gerusalemme, Israele e, infine, tutte le genti sono il luogo in cui il Signore entra per le nozze. I due figli sono l'antico popolo e l'intera umanità. Il primo, che aveva promesso di entrare nella vigna di Dio, alla fine non ci va. Le genti, all'ultima ora, ci entrano.

Quelli che sembrano più lontani si rivelano più disponibili, forse perché si riconoscono più bisognosi. Per questo il secondo figlio ricorda quello "prodigo" che, dopo aver lasciato la casa del padre, si pente e ritorna; anche il primo figlio, che prima dice sì e poi non va nella vigna, somiglia al fratello maggiore della parabola, che non conosceva la misericordia del padre, il suo amore per tutti i suoi figli. Essere onnipotente e accettare che un figlio se ne vada; accoglierlo poi a braccia aperte quando ritorna; lasciar perdere tutto e andare alla ricerca della pecora smarrita, essere padrone di tutto e mettersi a servire i propri servi: questo si chiama misericordia.

Ad essa la Chiesa deve la propria esistenza di popolo fatto di figli perduti e pecore smarrite. I passi del perdono arrivano più lontano della frattura.

Don Ivan Leto

Cattedrale

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di Civitavecchia-Tarquinia