CIVITAVECCHIA – Ciclicamente, sui gruppi Facebook dedicati alla storia e alla memoria di Civitavecchia spuntano storie, racconti o meglio leggende tramandate dai nonni e poi dai genitori in cui si narrano alcune vicende “horror” che sarebbero avvenute in qualche casa civitavecchiese tanti ma tanti anni fa. Spiriti o fantasmi che ancora oggi vagherebbero in qualche palazzo perché vittime di una morte violenta.

Spulciando le cronache cittadine di un secolo e più fa, mi sono imbattuto nella triste e dolorosa storia della diciannovenne Bianca (il cognome l’ometto ma è molto conosciuto in città) che il 3 marzo 1907 si suicidò gettandosi dalla finestra della casa paterna in piazza Aurelio Saffi, palazzo Baldieri, per una forte delusione d’amore.

A raccontarcela è Evaristo Spaccari, il già conosciuto corrispondente del Messaggero.

Bianca, figlia di Guglielmo, all’insaputa dei suoi genitori aveva accettato le dichiarazioni amorose del fornaio Dandolo. Da qualche tempo la giovane non si sentiva bene. Era abbattuta, pallida, e poco attenta sul lavoro. Visitata da un dottore, questi diagnosticò un po’ di anemia e la sottopose ad una cura. I genitori le usavano particolari attenzioni, sperando di rivedere la figlia guarita.

Ben presto Bianca si accorse di trovarsi in stato interessante. Nessuno può sapere quali idee la tormentassero e passassero nella sua mente nel trovarsi in quella situazione! Certo subito in lei si formò il proposito di mettere fine ai suoi giorni, tanto più che il padre del nascituro l’aveva recentemente abbandonata dato che Guglielmo non voleva che si frequentassero perché desiderava che prima si sposasse l’altra figlia, Giulia.

Forse Bianca avrebbe dovuto svelare il suo segreto ai genitori, ma non lo fece, probabilmente per non arrecare loro un forte dolore. Intanto, soffriva in silenzio, priva di una buona parola, di un consiglio che le avrebbero risollevato l’animo straziato dalla delusione amorosa.

La notte, all’una circa, Bianca si svegliò in preda a forti dolori, che in breve, portarono alla nascita di un grazioso bambino. I genitori che dormivano nella stanza accanto, non si accorsero di nulla.

Non chiamò aiuto, si soccorse da sé, partorendo da sola. Il turbamento aveva raggiunto il colmo! Non vi era tempo da perdere. Lavato e fasciato amorosamente il bambino, lo depose sul letto e quindi aprì la finestra del balcone, decidendo di farla finita. Una donna, che per caso passava per strada, forse attratta dal rumore della finestra, alzò gli occhi e vide che la ragazza, stringendo forte i ferri del balcone, stava per cadere nel vuoto. La donna, atterrita, urlò per lo spavento. Bianca tentò di ritrarsi, ma poi vinta ogni riluttanza, si gettò di sotto, sul selciato della via. Si udì un tonfo cupo.

Subito soccorsa, fu chiamata la Croce Bianca che la trasportò al vicino ospedale civico. Sul selciato rimase una grande pozza di sangue. Alle ore 5.30 Bianca cessava di vivere, senza aver pronunciato una parola per giustificare il suo insano gesto.

Il giorno dopo, in tutti i ritrovi della città, non si parlava d’altro che del triste fatto della notte: per le vie cittadine gruppetti di donne lo commentano animatamente, compiangendo la fine immatura di una giovane vita e meravigliandosi del coraggio dimostrato da Bianca che aveva lottato fino alla morte.

Il giorno dopo, in piazza dell’ospedale, si radunò una grande folla: tutta quella gente, in maggior parte popolane, voleva manifestare il suo cordoglio e la sua simpatia verso l’infelice Bianca, vittima dell’amore e della seduzione. Alle 15,20, la salma portata a braccia da alcuni giovani, uscì dall’ospedale, seguita da uno stuolo enorme di giovanette e di donne. Bellissime le corone portate a mano. La salma era fiancheggiata da parecchie amiche, vestite a bruno. In quella folla immensa di donne, meste e silenziose, si leggeva un’intensa commozione.

Il corteo sostò alla porta della città, qui pronunciò sentite e vibrate parole Giuseppe Alocci, consigliere comunale.

Al cimitero si ebbe un po’ di confusione perché tutti desideravano vedere per l’ultima volta Bianca.

Il 6 marzo, sul registro dei nati del Comune di Civitavecchia per l’anno 1907, al numero 115, il funzionario comunale protocollava la dichiarazione di Dandolo, di anni ventuno, negoziante, che affermava che “all’una e trenta minuti della notte del tre marzo in piazza Aurelio Saffi al numero 8, dalla sua unione con donna non maritata, non parente, né affine con lui nei gradi che ostano al riconoscimento, è nato un bambino di sesso maschile a cui da i nomi di Vittorio, Alfredo”. È il figlio di Bianca, che non poté riconoscerlo né vederlo crescere.

Il Messaggero del 4 e del 5 marzo 1907.

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