CIVITAVECCHIA – Il problema del disallineamento temporale dalla dismissione del carbone, prevista entro la fine del 2025, e l’attivazione dei nuovi progetti di sviluppo del territorio è entrata prepotentemente nel dibattito sul phase out e sul futuro di Civitavecchia. La preoccupazione è stata posta sul tavolo della riunione al Mimit di martedì scorso da parte del presidente di Unindustria Civitavecchia Cristiano Dionisi. «È necessario cercare di trovare una soluzione ponte che ci permetta di dare respiro per almeno tre-cinque anni - ha spiegato - il tempo che serve a traguardare nuovi progetti, senza lasciare indietro nessuno, aziende e persone. Dobbiamo mettere in campo una transizione che sia sostenibile dal punto di vista ambientale e sociale. per questo ci serve del tempo». Tanto che Dionisi ha chiesto anche «di poter valutare una proroga di qualche anno all’operatività della centrale o comunque - ha concluso - misure alternative che ci consentano di arrivare al 2027-2028 “in forma” pronti per vincere nuove sfide con personale già riqualificato».

Un’ipotesi che però ha scatenato la contrarietà di molti degli attori del territorio, gli stessi che hanno contribuito a stilare l’importante documento unico che vede Civitavecchia unita nell’indicare quella che è la strada per uscire dalla produzione di energia da fonti fossili. «Il mandato al sindaco era pieno, salvo lasciare le porte aperte a nuove proposte capaci di garantire una crescita del territorio, evitando in ogni caso di pensare ad un passato ormai non più percorribile – hanno spiegato i presidente di Cna e Legacoop Alessio Gismondi e Mauro Iengo – riguardo il nostro territorio c’è un progetto di off-shore eolico in attesa di autorizzazione: questa è la strada da percorrere velocemente, semplificando e accelerando le procedure. È per ora l’unico progetto che abbia la dignità e la dimensione per sostituire l’impegno di produzione elettrica assicurato per decenni da Enel e assicurare adeguati livelli occupazionali. L’obiettivo deve essere la realizzazione a Civitavecchia di un Hub per questo tipo di tecnologia». «Ragionare di rallentamento della transizione energetica comporta rischi evidenti, soprattutto per Civitavecchia – hanno fatto eco i segretari di Cgil e Uil Stefania Pomante e Giancarlo Turchetti – i finanziamenti europei (PNRR) e la realizzazione delle infrastrutture finalizzate alla transizione hanno come termine il 2026 ed i tempi di produzione energetica da rinnovabili sono individuati al 2029. Per far sì che questo si realizzi è possibile, anzi doveroso far partire i cantieri delle infrastrutture ( banchina grandi masse ad esempio) entro il 2025». Contrario «a qualunque irragionevole ipotesi di proroga del funzionamento della centrale a carbone» anche il Partito democratico. Un’idea che giudicano sbagliata nella sostanza, «ma anche nei tempi e nei modi per come è stata formulata. Essa, non solo appare in aperto contrasto con direttive europee, impegni nazionali, regionali e comunali – hanno evidenziato i dem - ma si oppone ad una idea di città, largamente condivisa, che vuole liberarsi dalla servitù dei fossili, nella tutela della salute pubblica e dell’ambiente ma anche come occasione per dare un nuovo e deciso impulso allo sviluppo e alla occupazione. Per Usb infine servono fatti concreti, soprattutto da Governo e Enel. «Il Governo non ha avviato neppure quella valutazione circa l’utilizzo degli “strumenti agevolativi” disponibili (area di crisi, contratto di sviluppo, ecc) promessa ormai un mese fa alla Camera dei deputati dal Ministro Urso – hanno spiegato – Enel, dal canto suo, continua invece a dirsi disponibile al dialogo ma senza sbilanciarsi sul futuro, prendendo tempo e invitando tutti ad attendere - a questo punto in modo un po' messianico - il nuovo piano industriale della società».

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