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Sono stati 24400 i contratti attivati nel 2023 nella Tuscia. Di questi soltanto 5400 possono definirsi stabili (a tempo indeterminato e apprendistato), i restanti 19mila hanno riguardato forme di lavoro atipiche: 13200 a termine, 2800 stagionali, 700 in somministrazione e infine 2300 intermittente. Tradotto il tutto in percentuale ciò significa che il lavoro stabile è stato relegato a un misero 22 per cento, mentre quello atipico è schizzato al 78 per cento. L’analisi dei dati di flusso dell’Inps aiutano a capire la qualità del lavoro a Viterbo e provincia. «È un lavoro sempre più precario – dice Giancarlo Turchetti, Segretario generale della Uil di Viterbo – che non offre futuro alle persone. E che a livello regionale ci pone al secondo posto dopo la Capitale per contratti intermittenti avviati. Dopo Roma con circa 40mila attivazioni, c’è il nostro territorio (2300), poi Latina (2100), Frosinone (1100) e infine Rieti (300)». Ma i frutti avvelenati della precarizzazione del lavoro sono ovunque. Se nel 2019 i contratti di lavoro stabili attivati in tutto il Lazio avevano rappresentato il 21,9 del totale, nel 2021 la percentuale è scesa ancora al 19,2. E a fine 2023 c’è stata una ulteriore contrazione, che ha fatto scendere il totale dei contratti stabili al 18.7 per cento. «Una discesa che sembra senza fine, una discesa durante la quale si consuma il dramma dell’instabilità lavorativa, le scarse certezze per il futuro e l’impossibilità di programmare un domani. È una spirale perversa che, se non riusciremo a spezzare, finirà per offrire soltanto lavoro povero e mal retribuito». «È per questo che la Uil con il suo segretario Pierpaolo Bombardieri non si stancherà di chiedere al governo – conclude Turchetti – interventi per i tanti giovani che stanno rimanendo irrimediabilmente indietro. Possiamo seguire il modello spagnolo che ha limitato drasticamente il ricorso a forme contrattuali precarie. E poi serve anche una seria politica industriale e di sviluppo che valorizzi ogni singolo territorio del paese».
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