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Dieci anni di successi in Italia e, finalmente, all’estero, che hanno fatto della Juventus la squadra più titolata in assoluto. Dieci anni in cui è cambiata profondamente la società italiana, dall’incubo degli anni di piombo, al nuovo boom economico.
E’ da questi presupposti che nasce, in Ferdinando Guglielmotti, civitavecchiese doc, discendente di Padre Alberto Guglielmotti, l’idea oggi diventata realtà del docufilm “Juventus - Il Decennio d’oro”. L’opera, 90 minuti, come una partita, diretta da Angelo Bozzolini, è stata presentata nei giorni scorsi fuori concorso nella sezione Zibaldone al Torino Film Festival. E’ una produzione Lux Vide, Società del Gruppo Fremantle, in collaborazione con Rai Documentari. Prodotto da Matilde e Luca Bernabei, il docufilm, in onda prossimamente in prima serata su Raiuno, non solo ripercorre una delle epoche più significative del calcio italiano dominato dalla Vecchia Signora, attraverso le testimonianze dei grandi protagonisti, – tra cui Marco Tardelli, Michel Platini, Zbigniew Boniek e Dino Zoff – ma racconta anche un momento cruciale della storia del nostro Paese.
Guglielmotti, come nasce in un tifoso romanista, l’idea di celebrare i dieci anni che hanno affermato la supremazia della Juve non solo in Italia, dove era già storicamente la squadra più forte, ma in Europa e nel mondo, dove è diventato il primo club ad aver vinto tutte le competizioni internazionali?
«Volevo raccontare una storia di eccellenza dello sport ma che avesse grandi contenuti umani in un contesto sociale straordinario come gli anni dal ’75 al 1985, in cui si passò dalle Br agli anni ’80, quandò cominciò la rinascita italiana con il governo Craxi che portò l’Italia ad essere la quarta potenza industriale al mondo».
Un imprenditore con la passione dell’editoria, come si avvicina al cinema?
«La mia è una passione per la cultura, e in modo particolare per il cinema. Venti anni fa quando Francesco Storace era presidente della Regione Lazio, sono stato presidente di Atcl, ho prodotto vari documentari, anche un film. Il resto è una storia di grande amicizia: con Lux Vide, con cui ho co-prodotto il docufilm; con Angelo Bozzolini, un grande regista, sceneggiatore e documentarista, che si era già cimentato con successo su figure come Franco Battiato, Enrico Mattei e Lucio Battisti; e poi con Marco Tardelli, che ci ha “aperto” il mondo di quella Juve, facendoci entrare in quello straordinario gruppo di amici, a partire da Michel Platini, fino a Dino Zoff, Zibì Boniek e tutti gli altri».


Dino Zoff, Ferdinando Guglielmotti, Angelo Bozzolini, Marco Tardelli
«Proprio la componente umana è quella che mi ha maggiormente stimolato. Ho preso spunto dal film “Momenti di gloria”, sui due atleti inglesi che vincono le medaglie d’oro nel 1924. Dietro c’era una grande storia di amicizia, pure in un contesto di forte competizione. Ecco, quella Juve era una squadra vera. C’è un allenatore come Giovanni Trapattoni, che sa gestire al meglio un gruppo di leader, che diventa una squadra completa da ogni punto di vista. C’è la prima ipotesi di calcio moderno dal punto di vista manageriale e organizzativo: un proprietario, l’Avvocato Agnelli, un presidente-manager come Giampiero Boniperti. Un obiettivo chiaro: portare quello che già è il primo club italiano a trionfare anche in Europa. Una cavalcata che inizia nel ’77 a Bilbao e che arriva fino alla tragedia dell’Heysel del 1985, e poi alla vittoria della Coppa Intercontinentale, con l’unico passo falso di Atene, che altrimenti avrebbe aperto un ciclo vincente in Coppa dei Campioni di almeno 3-4 anni».


L’essenza di quel decennio è nelle parole dei protagonisti, come evidenzia Gugliemotti.
«Tardelli è chiaro, dice: “noi eravamo una squadra”. Persone che a distanza di oltre 40 anni ancora si sentono e si vogliono bene. E’ la sublimazione del connubio tra imprese sportive e uomini straordinari. Si potrebbe fare una storia su ognuno di questi uomini e atleti eccezionali. Poi, l’organizzazione della Juventus, la cultura aziendale, la mentalità, qualcuno dice lo “stile Juve”. Boniek lo sintetizza cosi: “Alla Juventus tu vinci una partita e dopo 5 minuti devi già pensare alla successiva”. Fino alla focalizzazione sugli obiettivi. Platini entrando negli spogliatoi prima della finale della Coppa Intercontinentale taglia corto: “Questa è una partita che dobbiamo vincere e basta”. E quando gli annullano ingiustamente il suo gol più bello di sempre, si adagia per pochi secondi in quella posa di protesta diventata iconica, grazie alla foto di Salvatore Giglio, poi si rialza e dice: “tanto vinciamo lo stesso”».


Michel Platini
Questo e tanto altro era quella Juventus, che costituiva anche l’ossatura della Nazionale, e infatti una parte importante del docufilm è dedicata alla vittoria del Mundial in Spagna, a tinte azzurre e bianconere. Un auspicio che si possa tornare a quei fattori di successo, come i tanti juventini presenti in sala a Torino per l’anteprima hanno detto a chiare note, scambiando qualche parola con alcuni dei protagonisti del film in platea: da Massimo Bonini e Domenico Marocchino, alla inconfondibile voce di Carlo Nesti, fino ad Evelina Christillin, Mariella Scirea, Valerio Remino, e a un ospite molto particolare, visto il contesto, come il vecchio cuore granata di Claudio Sala.
Dopo il successo con la Vecchia Signora, Ferdinando Guglielmotti ha intenzione di proseguire il filone delle grandi storie di calcio, tornando a casa: «L’anno prossimo l’anteprima sarà al festival del cinema di Roma, con “La magica Roma”. Una storia più di “cuore” rispetto a quella della Juve, che è la squadra con più tifosi in Italia, oltre 10 milioni. I romanisti sono 2 milioni, ma fanno un tifo per 2 miliardi e contribuiscono a rendere magica la Roma».
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