di CARLO CANNA
CIVITAVECCHIA - In questi ultimi anni, a Civitavecchia, si è registrato un considerevole incremento del fenomeno della prostituzione su strada, spesso legato alla criminalità organizzata. Capita così, nelle ore notturne, di potersi imbattere frequentemente in giovani donne impegnate a “battere il marciapiede” in alcune aree periferiche della città, in attesa del passaggio di generosi clienti disposti a barattare un attimo di passione in cambio di denaro. In passato, non è stato sempre così, almeno prima dell’introduzione della ben nota Legge Merlin che il 20 febbraio del 1958 decretò la chiusura in tutta Italia delle cosiddette “case chiuse”, luoghi ormai relegati alla memoria storica, in cui si esercitava il mestiere più antico del mondo.
Nel periodo anteguerra, sappiamo che a Civitavecchia erano in piena attività ben quattro strutture del genere e, tra queste, il “Dollaro”, era senza dubbio quella più famosa e anche quella più chic, destinata ad accogliere una clientela formata in gran parte dai Vip dell’epoca e dagli ufficiali in carriera. L’edificio, situato inizialmente nelle vicinanze del porto, in seguito, dopo la guerra, trovò una nuova collocazione in via Bramante, al civico 29. A distanza di oltre mezzo secolo, possiamo rivivere l’atmosfera di quel periodo, attraverso i ricordi, riportati nelle vecchie interviste, di coloro che hanno vissuto in prima persona l’esperienza legata a quei luoghi. Così, sappiamo che all’entrata del “Dollaro” c’era una scalinata spettacolare sovrastata da una statua di Venere; civili e militari erano accolti in spazi diversi ed una corda separava i clienti dalle ragazze. In alto, la “maitresse” controllava il tempo e la durata della prestazione veniva segnalata dal suono di un campanello. Al “Dollaro”, il costo per intrattenersi con una “signorina” era attorno alle 5 lire (appunto, un dollaro) ma nei bordelli dell’epoca, più in generale, sappiamo che il tariffario poteva variare ampiamente dalla semplice “sveltina” (attorno a 1 lira) alla prestazione di “mezza giornata” (20 lire). L’igiene era garantita e spesso l’utilizzo di acqua, sapone e asciugamano era offerto dalla casa. L’ingresso era vietato ai minori e alle donne, eccezion fatta naturalmente per le professioniste del sesso che qui vi lavoravano, costrette a condurre una vita da recluse (da cui il termine “case chiuse”) in attesa di essere sostituite, periodicamente, ogni 15 giorni. L’arrivo delle “signorine” in città rappresentava un vero e proprio spettacolo: addobbate di tutto punto con suntuosi abiti che ne mettevano in evidenza le forme procaci, sfilavano su una carrozza scoperta lungo viale Garibaldi, attirando così lo sguardo incuriosito di uomini e donne. A Civitavecchia, oltre al “Dollaro”, in ordine di importanza, si ricordano altre tre “case chiuse”: il “Gabbione”, tra via Trento e la Quarta Strada, caratterizzato da un ambiente certamente meno signorile e riservato del “Dollaro” ma decisamente anche meno oneroso per il portafoglio, la “Ginesi”, e un bordello situato in via Granari, queste ultime due in assoluto le più economiche, frequentate quasi unicamente da semplici militari o giovani alle prime esperienze. L’introduzione della Legge Merlin, nel 1958, decreterà la chiusura definitiva di tali strutture, segnando così un passaggio epocale nella storia italiana “a luci rosse”. Nel 1991, l’uscita del capolavoro cinematografico “Paprika”, diretto da Tinto Brass e interpretato dalla prosperosa Debora Caprioglio, restituirà quel pezzo di storia, spesso dimenticata, alla conoscenza del grande pubblico, riaccendendo il dibattito sul tema della riapertura delle “case chiuse”, ancora oggi più vivo che mai.