Rieti prima (+9,8%) e Viterbo quarta (+7,5%) nella graduatoria nazionale delle province italiane in base alla variazione percentuale a prezzi correnti del reddito disponibile delle famiglie consumatrici 2019-2021.


E’ quanto evidenzia un’analisi del Centro Studi Tagliacarne e Unioncamere sulle stime 2021 del reddito disponibile delle famiglie consumatrici (somma dei redditi da lavoro, da capitale/impresa, da prestazioni sociali e trasferimenti, al netto di imposte e contributi), una misura della capacità di spesa della popolazione residente in Italia. Un’analisi che mette in luce come l’Alto Lazio, e più in generale, tutta la regione, abbia manifestato più di altre aree della penisola la capacità di riprendersi dalla crisi pandemica con maggiore rapidità.


«Un dato - commenta il presidente della Camera di Commercio di Rieti-Viterbo, Domenico Merlani - che da un lato risente degli interventi a livello nazionale e regionale a sostegno di famiglie ed imprese e dall'altro, per quanto riguarda in maniera specifica l’Alto Lazio, dalla spinta del settore farmaceutico in provincia di Rieti e da quelli agroalimentare e turistico nella Tuscia, oltre agli effetti dei bonus in edilizia che si sono fatti sentire soprattutto nel 2021 per poi ridursi quest’anno». Resta, tuttavia, ancora sotto la media nazionale il reddito medio pro capite rilevato nel 2021 nell’Alto Lazio, con Viterbo all’81esimo posto nella graduatoria delle province italiane con un reddito annuo pro capite di 14.990,7 euro e Rieti verso il fondo classifica, al 91esimo posto, con un reddito medio pro capite annuo di 13.973 euro, a fronte di una media nazionale di 19.761 euro.


Guardando al quadro generale, in cinque regioni su 20 l'ammontare del reddito disponibile delle famiglie italiane non ha ancora recuperato nel 2021 i valori pre-Covid.


A fronte di un aumento generale a livello nazionale dell'1,5% nel biennio 2021-2019, a ritrovarsi ancora con una perdita rispetto al 2019 sono in particolare le famiglie di Valle d'Aosta (-3,9%), Abruzzo (-2,2%), Molise (-1,5%), Marche (-1,4%) e Piemonte (-0,2%). Mentre a livello provinciale a fare più fatica di prima a quadrare i conti sono gli abitanti di Venezia (-5,1%), Rimini (-4,5%), Fermo (-4,5%), L’Aquila (-4,5%) e nuovamente Aosta (-3,9%).


Sul lato opposto, invece, a poter contare su maggiori entrate per le famiglie sono in particolare gli abitanti del Lazio (+5,0%), della Lombardia (+2,7%), della Sicilia (+2,7%), dell'Umbria (+2,4%) e, a pari merito, della Campania e del Friuli-Venezia Giulia (+1,9%). Quanto alle province, gli incrementi più elevati si registrano soprattutto a Rieti (+9,8%), Latina (+9,0%), Caserta (+7,9%), Viterbo (+7,5%) e Grosseto (+7,4%). Ma in termini assoluti è Milano a guidare la classifica per reddito pro-capite nel 2021: con 33.317 euro a testa i cittadini meneghini mostrano una disponibilità di portafoglio superiore del 68,6% a quella della media degli italiani. Mentre Enna è la provincia meno ricca d'Italia. Nel 2021 la Lombardia concentra il 20,3% del reddito complessivo degli italiani,
seguita da Lazio (10,4%) ed Emilia Romagna (8,9%). Ma guardando alla classifica dei valori pro capite sempre nel 2021 è il Trentino Alto Adige con 24.036 euro a conquistare il primo posto confermando la posizione già acquisita nel biennio precedente, mentre la Lombardia con 23.749 euro si posiziona seconda rinsaldando la posizione del 2020 sull'Emilia Romagna che scende al terzo posto con 23.336 euro. Quanto alla capacità di spesa: al Sud il reddito è del 25% in meno rispetto alla media degli italiani. Nel biennio tutte le macro aree hanno superato i livelli di reddito disponibile pro capite antecedente alla crisi pandemica, ma con diverse velocità. In particolare, il Nord-Est registra la crescita più bassa (+0,4% rispetto alla media nazionale dell'1,5%), il Centro Italia segna un +2,9% con una Italia nord-occidentale che rileva un incremento del +1,6% e il Mezzogiorno che aumenta dell'1,2%.


Nonostante una variazione sostanzialmente allineata alla media italiana, nel 2021 il reddito disponibile pro capite meridionale è ancora di circa il 25% inferiore al dato medio italiano, pur facendo registrare un lieve miglioramento (0,3 punti) rispetto al livello del 2019.


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