Giovanni Masotti

Due storie diversissime, che percorrono strade impervie che non si incontrano mai. Eppure due fallimenti paralleli. Due conclusioni che lasciano entrambe con l' amaro in bocca e la rabbia in corpo una popolazione già assai poco ascoltata e considerata, se non vessata: Viterbo e la Tuscia. Parliamo del sipario calato in questi ultimi giorni sull'intricata vicenda di Talete e - contemporaneamente o giù di lì - sul caso aeroporto, che risale almeno agli anni 2007-2008 e il cui (probabile) epilogo è di appena due settimane orsono. Sì, due macabri balletti che hanno entrambi un minimo comun denominatore: la pochezza della classe politica locale, la sua scarsa voglia di lottare e di spendersi per ottenere risultati concreti e durevoli, le divisioni trasversali e apparentemente senza senso che ogni volta si frappongono e impediscono un sorridente "the end" a film peraltro già tristemente visti. Clamoroso è il flop del pasticciaccio che ruota attorno alla ben poco amata Talete e alla sua acqua non tanto pura quanto è cara, destinata ora a diventare un bene prezioso, oro puro o quasi, grazie ai continui rincari delle bollette. Il nodo, per la società idrica pubblica che rifornisce il viterbese, era (e temo che resti) la disastrosa situazione finanziaria in cui si dibatte da tempo e il bisogno di un' ulteriore robusta ricapitalizzazione. Per evitare l' ingresso al 40 per cento in Talete dei privati (leggi Acea) erano state sfornate - in una situazione assai confusa e di non troppo attenta partecipazione del Comune di Viterbo, pur maggiore azionista della Spa - due o tre soluzioni, una delle quali, la più quotata -trasformazione della società in un' azienda speciale di diritto pubblico e adozione di una tariffa unica regionale - incontrava però, in questo secondo punto, l' ostracismo dei comitati per l' acqua pubblica, che la ritenevano pericolosa perché avrebbe secondo loro spianato la strada alla privatizzazione della società. Tutti contro tutti, perciò, in un marasma che è persino difficile da spiegare. Con la sindaca di Viterbo Frontini assente all' assemblea decisiva per determinare la severa percentuale di aumento delle bollette (poi fissata a un soffio dal tredici per cento) richiesta dall'amministratore di Talete come unico antidoto alla liquefazione della società con tutti i gravi annessi e connessi che ciò avrebbe portato. Insomma spremere i cittadini, già penalizzati dai costi attuali, o fine dei giochi con gravi disagi. Brutta storia, insomma, senza il dovuto rispetto per gli utenti. Tanto tempo e tanto discutere per arrivare all' aut aut e conseguentemente alla stangata che va a incidere pesantemente sulle tasche delle famiglie. E c'è l' altra storia cui accennavamo all'inizio: l' aeroporto di cui si parla da almeno una quindicina d' anni, l' aeroporto con le ali spezzate che l' irresolutezza delle istituzioni locali ha relegato - a questo punto - nel forziere dei sogni proibiti. Era cominciata bene, benissimo, per Viterbo grazie al meticoloso lavoro compiuto nel 2009-2010 dalla Commissione Trasporti della Camera, decisa a razionalizzare e a ottimizzare il parco degli scali aeroportuali nazionali, addirittura un centinaio, solo sei-sette dei quali con un traffico passeggeri annuo superiore ai cinque milioni di unità. Basta, dunque, col costruire aeroportini con un valore minimale, realizzati qua e là magari dietro la spinta di qualche satrapo locale. Inutili e costosi. Basta, occorre voltare pagina. La priorità una sola: rimpiazzare gli scali obsoleti ma con un notevole traffico merci e passeggeri, capace di implementare il lavoro e le potenzialità dei subentranti. In questa logica sanamente imprenditoriale ci si limitava a prevedere la sostituzione dello scalo romano di Ciampino, fortemente intasato, facendo crescere, e specializzandolo nel traffico low cost, il nostro dimenticato aeroporto viterbese, rendendolo senza se e senza ma il terzo scalo aeroportuale del Lazio malgrado la spietata concorrenza di Frosinone, le immancabili perplessità degli ambientalisti e lo stracciarsi le vesti di chi suonava la solita solfa dell' insufficienza delle infrastrutture di collegamento tra Roma e Viterbo, quando alcune delle quali erano solo da completare. Avanti, dunque, a vele spiegate verso la modernizzazione grazie ai primi sostanziosi finanziamenti giunti per avviare la trasformazione dello scalo viterbese? Nemmeno per sogno. La decisione dell'organismo parlamentare finiva impantanata nei soliti riti della burocrazia romana tra le croniche contorsioni della Regione, su cui continuavano a premere gli interessi di altre zone del Lazio. Dieci-dodici anni di buco e di strani silenzi o di avventati proclami ed eccoci ai giorni nostri. La svolta, lo spericolato rovesciamento delle determinazioni precedenti. Niente più Viterbo terzo aeroporto del Lazio, niente più assunzione di un suo ruolo importante attraverso il passaggio di mano da Ciampino. Siamo alla misera soluzione dell'aeroportino, poco di più di un appoggio all'altro piccolo scalo romano, quello dell' Urbe, che vive sul traffico turistico privato. La montagna ha partorito il topolino a causa di una brusca inversione a u dell' Enac, costola del Ministero dei Trasporti, che ha fatto sostanzialmente sparire Viterbo - nell'ottobre scorso, quindi a dodici anni dal pronunciamento del Parlamento - riducendolo da scalo degno di questo nome a "scalino", nobilmente ribattezzato "aerotaxi", per il vantaggio di pochi operatori dello scalcagnato settore aeronautico. Che cosa vi sareste immaginati voi di fronte ad un declassamento così brutale di tutto un territorio? Una reazione forte e unitaria, il chiedere ragione di un giro di valzer tanto eclatante. E invece poco e niente, sospinto solo dalla campagna intrapresa in extremis dal Comitato Aeroporto contro i contorcimenti dell' Enac. Sensibilizzati enti e istituzioni locali a partire dalla Provincia e dal Comune di Viterbo, dai sessanta sindaci della Tuscia, fino ad altri interlocutori sistemici fortemente interessati alla crescita dello scalo viterbese come il Comune di Civitavecchia e l' Autorità Portuale e come l' Interporto di Orte. Ma il fronte di chi avrebbe dovuto compattamente "alzare le barricate" contro il diktat di Enac è apparso subito incompleto e diviso. Soprattutto a causa della totale discrepanza tra la posizione della Provincia e quella del Comune. L' una a difesa dell'originaria impostazione di Viterbo terzo scalo regionale, l' altra appagata dal "premio di consolazione" dell' aeroportino-aerotaxi. Una crepa insanabile, che dà armi a chi vuole proseguire lancia in resta con l' obiettivo di depotenziare Viterbo e di spegnerne le speranze di arrivare a vantare un aeroporto vero. Uno squallido probabile scenario finale, almeno senza l' insorgere di fatti nuovi che al momento non si vedono all'orizzonte. Ed ecco che le due storie vengono a saldarsi sotto un' unica etichetta: fallimento.

GIOVANNI MASOTTI