Lo scorso anno, in Italia, grazie all’impiego degli antivirali, in 20 settimane sono diminuiti gli accessi in ospedale, i ricoveri in terapie intensiva e i decessi. Lo conferma l’aggiornamento dello studio previsionale promosso da un team di economisti sanitari relativo all’impatto di una terapia antivirale (remdesivir) su costi sanitari e capacity delle terapie intensive, i cui dati sono stati illustrati durante il 43esimo congresso della Società italiana di farmacia ospedaliera (Sifo) a Bologna.


"Lo scorso anno - spiega Alessandro Signorini, direttore Health Economics Evaluation (Hee) Research Unit della Saint Camillus International University of Health and Medical Sciences, che ha coordinato lo studio - abbiamo condotto un’analisi di farmaco-economia sulla riduzione degli accessi in terapia intensiva e dei decessi legati all'impiego di remdesivir. Oggi presentiamo l’aggiornamento delle stime fino a settembre 2022. Questo secondo modello, inoltre, include anche i pazienti ad alto rischio di progressione a malattia severa, che ora possono essere trattati con il farmaco antivirale. I risultati indicano una riduzione di 5mila ospedalizzazioni, di 1.500 accessi in terapia intensiva e di 1.000 decessi, con un risparmio per il Ssn di 51 milioni di euro in un periodo di 20 settimane". E le esperienze maturate in due anni di Covid in Emilia-Romagna sull’uso degli antivirali, in particolare di remdesivir, la prima terapia al mondo ad essere stata autorizzata per il trattamento di Covid-19, sono state al centro del simposio "Covid-19: il profilo del paziente a due anni dall’inizio della pandemia e il ruolo di remdesivir nel percorso di cura” svoltosi nell'ambito dell’ultimo congresso nazionale Sifo. "Essendo un farmaco che blocca la replicazione del virus - sottolinea Michele Bartoletti, Humanitas University Unità operativa di malattie infettive Humanitas Research Hospital di Milano - se somministrato molto precocemente riesce a dare il meglio di sé, riesce a ridurre il tasso di ospedalizzazione e morte per la malattia soprattutto nelle persone che hanno un rischio concreto di sviluppare delle complicanze e delle conseguenze per l'infezione”.