LADISPOLI – Il cielo è cupo. È il 6 novembre 2016, sono da poco passate le 16.30 e a largo si intravede un vortice che in pochi secondi raggiunge l’approdo di Porto Pidocchio, sul lungomare di via Marco Polo. È lì l’inizio di tutto: la tromba d’aria si abbatte sulla costa e poi sul centro abitato, dirigendosi verso le campagne cerveterane fino a spazzare via gli alberi della storica pineta di Ceri. Sulla sua strada lascia distruzione e sangue. Nel bilancio complessivo un morto, il senza fissa dimora indiano 36enne Singh Surinder travolto dal crollo di un cornicione della chiesa di Santa Maria del Rosario mentre si trovava nel piazzale. Una ventina invece i feriti, tra cui due gravi, trasportati d’urgenza in ospedale. La gru di un rimessaggio alta 25 metri si accartoccia su un ponte, volano alberi, lampioni, tegole delle abitazioni e camini. In mille pezzi le finestre delle case e le automobili parcheggiate.


Sventrata una palazzina di via Ancona, tanto che il letto della camera all’ottavo piano rimane a penzoloni nel vuoto: sarà quello uno dei simboli della devastazione così come la scuola Ilaria Alpi e per fortuna che era domenica. Muri di cinta sbriciolati dalle forti raffiche e attività commerciali rase al suolo.


Rimborsi minimi
Il ricordo di quella devastazione è vivo ancora nella memoria dei ladispolani nonostante siano passati sei anni.


Ci vollero settimane per liberare i detriti, tanti mesi per ricostruire gli immobili seriamente compromessi dal passaggio del tornado. E poi la beffa per i residenti che dal Governo ottennero dei risarcimenti, a dire il vero non proprio lauti, soltanto dopo 3 anni e mezzo. A Ladispoli vennero stimati circa 6 milioni di euro di danni, se non anche di più e arrivò un contributo statale di circa mezzo milione. Troppo poco per coprire tutte le spese.


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