CIVITAVECCHIA - Una fiaccolata per dare un segnale forte affinché vengano fatti tutti gli accertamenti necessari a capire se l’omicidio-matricidio Roversi poteva essere evitato.

È quanto ha deciso di organizzare la famiglia di Cristiana Roversi, la 55enne, morta lo scorso 27 giugno nella sua villetta di via Lucignani a Civitavecchia, dopo essere stata aggredita dal figlio 29enne, Valerio Marras, a colpi di coltellate all’addome e al collo. I famigliari, che non puntano assolutamente il dito contro il ragazzo, perché oggettivamente affetto da problematicità emerse subito dopo l’incidente avuto nel 2008, hanno deciso di organizzare questa manifestazione di sensibilizzazione per il primo agosto alle 21,30  (partenza da Largo Giovanni XXIII, San Gordiano) perché si sono sentiti abbandonati dalle istituzioni. Un sentimento già emerso il giorno del funerale, quando la famiglia ha partecipato alle esequie di Cristiana con una maglietta dove appariva la scritta “Mamma Cristiana, abbandonati dallo Stato”. La famiglia della vittima confida nel fatto che la Procura di Civitavecchia possa fare chiarezza su tutte quelle che possono essere state le cose che potevano essere fatte e che non sono state effettuate; e su quello che si sarebbe potuto evitare. Se questa tragica morte, cioè, poteva essere evitata. 

Secondo la versione della famiglia di Cristiana, l’accaduto rientrerebbe nell’ambito di una cronaca di morte annunciata. E su questo sta lavorando l’avvocato Paolo Pirani, legale incaricato dalla famiglia di Cristiana Roversi. L’avvocato Pirani sta infatti portando avanti un’attività di indagine e di acquisizione di documenti relativi agli interventi e sostanzialmente alla storia dei rapporti famiglia-ragazzo, connessi anche alle forze dell’ordine e alle strutture sanitarie. L’obiettivo è quello di dare alla Procura materiale idoneo su cui poter fare le dovute attività e i dovuti accertamenti. «Confidiamo nell’attività della magistratura e in particolare del dottor Spagnolo che si è dimostrato, sin dal primo giorno, aperto a qualunque tipo di attività finalizzata a chiarire, non solo se il ragazzo era capace di intendere e volere al momento dell’omicidio (e non a caso il dottor Spagnolo ha richiesto l’accertamento psichiatrico ndr) ma anche a valutare altri profili che emergeranno all’esito della relazione. Il dottor Spagnolo si è infatti dimostrato aperto a qualunque attività di produzione che come indagine difensiva sarà messa a disposizione».

All’attenzione, pertanto, alcuni aspetti cruciali della vicenda.

Valerio Marras era in cura al centro di salute igiene mentale, ed era stato anche già denunciato per maltrattamenti in una di quelle situazioni di esasperazione e di violenza. Era però anche un ragazzo che probabilmente non doveva essere lasciato libero di agire come riteneva. Un trattamento sanitario obbligatorio lo avrebbe, forse, curato e dichiarato incapace nella situazione anche più recente, come avvenuto peraltro in passato.

Non solo. Nel 2016, Valerio Marras era stato denunciato dal padre per maltrattamenti, ma da allora quel fascicolo era rimasto fermo in Procura, senza alcuna adozione di un provvedimento. Fino a quando si è verificato l’omicidio con il procuratore che ne ha acquisito gli atti. 

I genitori di Marras, inoltre, sostengono di aver richiesto, dal 2016, tutta una serie di interventi da parte delle forze dell’ordine, sui quali l’avvocato Paolo Pirani sta portando avanti un’indagine difensiva per acquisire tutta la documentazione che potesse raccontare la storia di quegli interventi; di quelle circostanze, cioè, che hanno portato nel tempo le forze dell’ordine ad intervenire sulla famiglia Marras perché chiamate dalla stessa famiglia per atti di violenza o comportamenti aggressivi e in ogni caso di pericolosità del soggetto. 

Allo studio anche l’aspetto sanitario: per capire, cioè, se le cure somministrate al ragazzo fossero state idonee. E proprio su questo aspetto sarà fondamentale l’analisi estesa dalla consulenza psichiatrica disposta dal pm Delio Spagnolo, anche per capire se sia stato fatto tutto quello che doveva essere fatto. L’incarico è stato conferito al professor Stefano Ferracuti, da parte della procura di Civitavecchia; mentre la dottoressa Susanna Capitani è invece stata nominata dalla famiglia della vittima come consulente tecnico di parte. 

Da chiarire anche quello che effettivamente accadde il 3 giugno scorso, quando Cristiana Roversi si recò presso il Commissariato di polizia per far presente che il figlio aveva rimanifestato segni di violenza. L’omicidio si è verificato poco più di 20 giorni dopo: il 27 dello stesso mese. In quella circostanza i genitori non denunciarono, «ma è altrettanto vero - spiega l’avvocato Pirani - che la denuncia può partire anche d’ufficio, soprattutto là dove ci sono dei segnali per cui si deve intervenire d’ufficio, come per esempio di fronte a patologie psichiatriche evidenti - anche perché ci sono una serie di interventi in tal senso -, e di fronte a manifestazioni di atteggiamenti violenti: in diverse circostanze il ragazzo ha rotto e sfondato oggetti in casa, o minacciato di morte con evidenti atti di violenza. Quel ragazzo, al di là di una denuncia o meno che viene segnalata, e in considerazione del fatto che era in cura al centro di igiene e salute mentale, poteva forse essere oggetto di trattamento sanitario obbligatorio, che proprio per la sua natura di obbligatorietà, non necessita di denuncia».

Per tutte queste ragioni, la famiglia di Cristiana Roversi chiede che venga fatta chiarezza su ogni fondamentale aspetto, organizzando la fiaccolata che si terrà la sera del primo agosto a San Gordiano, con partenza alle 21,15 da largo Giovanni XXIII. 

«Ci troviamo di fronte al classico esempio - spiega l’avvocato Paolo Pirani - dove molto spesso si sottovalutano le denunce e le segnalazioni che vengono presentate. Molte donne, vittime di violenza segnalano 10, 20, 30 volte il problema e magari poi questo, in buona fede, viene sottovalutato. Invece è importante sottolineare che ogni campanello d’allarme non deve essere sottovalutato, perché si rischia poi di trovarci di fronte a situazioni di questo tipo, dove si piange una madre che è stata uccisa da un figlio contro il quale nessuno della famiglia punta il dito; perché tutti i componenti della famiglia erano consapevoli dello stato in cui si trovava il ragazzo dopo quel brutto incidente che lo aveva portato al coma e anche ad essere sottoposto ad intervento chirurgico. Lui stesso sentiva, in determinate circostanze, di non poter mantenere il controllo delle proprie azioni, tanto è vero che la stessa famiglia riferisce che spesso Marras si poneva in auto ricovero. Circostanza, anche questa, oggetto di richiesta di acquisizione. Lui cioè si rivolgeva all’ospedale San Paolo in auto ricovero perché si rendeva conto che ad un certo punto c’era qualcosa che non andava».

Attualmente Valerio Marras, dal carcere di Civitavecchia è stato trasferito presso quello romano di Rebibbia, più attrezzato per un braccio speciale di protezione.