di CARLO CANNA



CIVITAVECCHIA - Curiosando tra le pagine della storia di Civitavecchia, la festa in onore della santa patrona e protettrice dei naviganti ci restituisce un’immagine insolita della città e dei suoi abitanti nei secoli passati. Ne furono testimoni diretti due cronisti illustrissimi: il missionario domenicano Jean-Baptiste Labat e lo scrittore Henry Bayle, noto ai più come Stendhal.



Il primo, nel suo Voyages en Espagne et en Italie (1730), ci ricorda delle “meraviglie” messe in atto da personaggi di varia umanità che all’epoca animavano la festa di Santa Fermina facendo leva sulla credulità popolare. Avremmo così potuto imbatterci in astrologi e ciarlatani, venditori di teriaca (un preparato farmaceutico dalle supposte virtù miracolose) ed “altri esponenti della terza classe della Medicina”. Di loro Labat disse: “niente era così divertente quanto i discorsi che facevano gli uni contro gli altri e le sfide che si lanciavano”.



Nella sua accurata descrizione, il frate domenicano non manca di fornirci numerosi dettagli, spesso curiosi, sui festeggiamenti e sulla processione che vedeva sfilare il corteo religioso con “la statua della Santa, addobbata delle vesti più ricche e ornata di pietre”, al suono delle fanfare e gli spari di cannoni, moschetti e mortaretti.



Tra gli spettacoli più popolari del passato vanno ricordati la corsa delle barche, il trave a mare, la lotta saracena ed, in particolare, il “gettito delle anatre”, così descritto dal religioso: “Il suono dei tamburi avvertì che stavano per cominciare. All’inizio si gettarono in mare da sopra la terrazza del Palazzo Apostolico, chiamato la Rocca, numerose oche e anatre. Benchè fossero assolutamente domestiche, apparvero sulla scena sotto il nome di anatre e oche selvatiche; in qualche modo lo divennero dopo che videro un gruppo di Bonavoglia, di Marinai e di canaglie gettarsi a nuoto per afferrarle. I pennuti si immergevano e rendevano inutili gli sforzi di quelli che li inseguivano. Il cattivo umore di chi mancava il colpo produsse scazzottate, ci furono nasi rotti e occhi pesti, alla fine tutte le anatre furono prese e i cacciatori felici le portarono in trionfo alla bettola per mangiarsele”. Possiamo facilmente immaginare quale tipo di tortura rappresentasse questo “spettacolo” per i poveri palmipedi  strattonati da una parte all’altra e, non è un caso, se tale manifestazione venne abolita nel 1928 su pressione degli animalisti dell’epoca.



La festa di Santa Fermina suscitò anche l’interesse di Stendhal, console di Francia a Civitavecchia dal 1831 al 1841, che così scrisse nell’aprile del 1831: “C’è la festa del paese: si direbbe una città di 60 mila abitanti. Lione non ha mai visto un fuoco d’artificio come quello del secondo giorno, né una illuminazione come quella di ieri. L’illuminazione, i giochi sull’acqua e i colpi di cannone ogni cinque minuti formano un insieme molto grazioso”. Quanto riportato dallo scrittore francese è di particolare interesse anche perché documenta il forte potere attrattivo della manifestazione considerando che all’epoca la città contava poco più di 7 mila abitanti (è lo stesso Stendhal che definisce Civitavecchia un “villaggio di 7.400 abitanti”).



Nell’ultimo dopoguerra si è tentato invano di ripristinare il “gettito delle anatre” sostituendo i volatili con dei cocomeri e dei palloncini e, nel corso del tempo, altre iniziative strettamente folcloristiche (lotta saracena, spettacoli pirotecnici, ecc.) sono state rimandate al 15 agosto, considerato tradizionalmente come il giorno del Natale della città.



Oggi, la festa di Santa Fermina è incentrata sulla solenne processione a mare a cui fanno da contorno numerose iniziative culturali e manifestazioni sportive come il Palio Marinaro, una rappresentazione simbolica del dramma delle incursioni saracene che devastarono e distrussero l’antica Centumcellae.