Il sistema sportivo in Italia deve seguire due strade: è un’articolazione dell’ordinamento sportivo internazionale ma fa anche parte (e non può andare contro) l’ordinamento statale italiano. Questo tipo di peculiarità ha portato, negli anni, a chiedere “autonomia” (ma non indipendenza) dello sport dall’ordinamento italiano. Innanzitutto, nonostante gli sforzi della giurisprudenza avessero portato a scindere le questioni tecnico-sportive da tutte le altre, non si riusciva, il più delle volte, a comprendere se venissero lesi i diritti soggettivi o gli interessi legittimi nelle questioni patrimoniali, amministrative o disciplinari. Infatti, il problema risiedeva nella difficoltà di individuare l’esatta natura giuridica delle federazioni sportive e quindi degli atleti tesserati. Nonostante la richiesta di una legge ad hoc per il rapporto dell’ordinamento statale e quello sportivo, si dovette aspettare un evento traumatico per il calcio italiano nella primavera-estate del 2003 al fine di “costringere” il legislatore ad intervenire. Il casus belli fu la vicenda del Catania Calcio. Nelle ultime giornate del campionato 2002/2003 il Catania pareggiò in casa con il Siena con il punteggio di 1-1. Il Catania, però, fece ricorso alla commissione disciplinare delle F.I.G.C. poiché, secondo il club siciliano, il Siena aveva schierato un giocatore squalificato in precedenza. Il giocatore in questione, Luigi Martinelli, non avrebbe dovuto disputare la partita del 6 aprile nella squadra primavera del Siena. Giocando regolarmente sia la partita della primavera e sia la partita incriminata del 12 aprile, il giocatore non aveva scontato la pena inflitta dalla doppia ammonizione della partita del 30 marzo. La commissione disciplinare non diede ragione alla squadra etnea e per questo i siciliani si rivolsero alla Commissione di Appello Federale, la quale decise per una vittoria a tavolino del Catania. Il Siena non si arrese alla decisione della C.A.F. e fece appello alla Corte Federale, la quale ribaltò la decisione della Commissione e diede ragione alla squadra toscana. Intanto i mesi passavano e si arrivò all'estate. Il Catania, violando il vincolo di giustizia, si appellò al Tar di Catania e questo, a sorpresa, sospese la decisione della Corte federale per incompetenza e riassegnò la gara al Catania, allineandosi alla commissione di appello federale. All'atto dell’emanazione del giudizio del Tar Catania, il campionato di serie B era intanto finito e i due punti guadagnati dal Catania erano diventati come “linfa vitale” per la sopravvivenza nella serie cadetta, poiché gli garantiva il quintultimo posto, al riparo dall’estromissione della serie B. La retrocessione, quindi, spettava a una squadra tra il Napoli e il Venezia (quarte a pari punti) ma, con i giocatori ormai partiti per le vacanze, la Federazione Italiana Giuoco Calcio si rese conto che era impossibile determinare quale delle due dovesse retrocedere. Come benzina sul fuoco, arrivarono anche i ricorsi delle altre tre squadre già retrocesse quali Genova, Cosenza e Salernitana. Queste ultime chiedevano di disporre il blocco delle retrocessioni, in quanto le norme della F.I.G.C. non prevedevano un organico della Serie B a 21 squadre e, pertanto, tale organico avrebbe dovuto rimanere a 20 oppure essere ampliato a 24 club. Si prospettava quindi, per la Figc un campionato di serie B o con 20 squadre o con 24 ma non con 21 club. In sintesi, i ricorsi delle squadre minacciavano l’avvio del campionato 2003/2004. In tale situazione la giustizia statale si era pronunciata a favore del ricorrente su un tema di ordinamento sportivo e si era completamente sconfessata la giustizia sportiva. Tutti questi elementi portarono il legislatore ad emanare, con motivazione d'urgenza, il decreto-legge numero 220/2003 (poi convertito con L. 280/2003). Formata da tre articoli, il primo risponde alla richiesta che il mondo dello sport chiedeva da anni e cioè che “i rapporti tra l'ordinamento sportivo e l'ordinamento della Repubblica sono regolati in base al principio di autonomia, salvi i casi di rilevanza per l'ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l'ordinamento sportivo”. Per la prima volta, quindi, lo Stato metteva un punto fermo a tutta la vicenda. La legge afferma anche che le materie riguardanti le questioni tecnico-sportive e disciplinari sono pienamente riservate all’ordinamento sportivo mentre i ricorsi aventi ad oggetto questioni patrimoniali sono sotto la giurisdizione del giudice ordinario. Per tutte le altre questioni (fermo restando sempre l’esaurimento dei gradi di giustizia sportiva), i ricorsi debbono essere presentati verso il giudice amministrativo e più precisamente al Tribunale Amministrativo Regionale (T.A.R.) con sede in Roma. Questo per evitare possibili influenze sulle decisioni del giudice amministrativo e anche per la sede di competenza dell’ente pubblico sportivo per eccellenza, il Coni. La legge n.280/2003 è, ancora oggi, il pilastro fondamentale dei rapporti tra ordinamento statale ed ordinamento sportivo.
A cura di Damiano Lestingi.
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