CIVITAVECCHIA – Altro che 2030. Ora spunta addirittura la data del 2038 per lo spegnimento delle centrali a carbone, Civitavecchia compresa. 

È la richiesta contenuta in uno dei due ordini del giorno alla conversione in legge del DL ex Ilva, approvati ieri dalla Camera con parere favorevole del governo: spostare appunto lo spegnimento definitivo delle centrali a carbone sulla Penisola al 2038 e applicare i contratti a due vie alla produzione degli impianti idroelettrici in sede di rinnovo delle concessioni, i due temi affrontati. 

L'ordine del giorno sul carbone porta la firma dei deputati di Azione Bonetti, Richetti, Rosato e Benzoni e di quelli di Forza Italia Battilocchio, D'Attis, Tenerini e Squeri. Con il testo, si impegna il governo a presentare una proposta di modifica del Pniec per “coordinare la tempistica della chiusura delle centrali a carbone con quella dell'avvio di nuovi impianti elettronucleari, indicando pertanto il 2038 come nuova data per il phase-out del carbone”, data attualmente stabilita nel 2025. Attualmente sono due le centrali ancora in funzione, Torrevaldaliga Nord a Civitavecchia e Brindisi Sud, entrambe di Enel, che però nel 2025 non sono mai entrate in produzione.

«Mantenendo in attività anche solo le centrali a carbone di Civitavecchia e Brindisi - scrive Azione in una nota – si possono generare 30 terawattora continui, con costi di generazione contenuti e in quindi in grado di ridurre il prezzo di acquisto da parte delle imprese. Le centrali a carbone italiane hanno, peraltro, emissioni di un terzo inferiori a quelle tedesche, che nel 2024 hanno prodotto 95 terawattora».

Il secondo ordine del giorno impegna il Governo a introdurre nel bando per il rilascio o nel rinnovo delle concessioni idroelettriche una clausola che preveda, per gli impianti di taglia superiore a 10 MW, la remunerazione con un contratto a due vie a un prezzo di esercizio da determinarsi a partire dal prezzo medio di borsa del decennio 2011-2020. «Il che significherebbe – scrive ancora Azione – dimezzare il prezzo pagato dalle imprese per l'energia prodotta da fonte idroelettrica, portandolo a circa 60-70 euro al megawattora. Poiché il prezzo di borsa è determinato dagli impianti a gas, la remunerazione al prezzo di borsa di fatto impedisce oggi ai consumatori di beneficiare dei bassissimi costi operativi dei grandi impianti idroelettrici».

«Il favore del Governo a queste proposte impone, quindi, di darvi un'attuazione tempestiva a beneficio del sistema economico nazionale», conclude la nota di Azione.