LADISPOLI – Non è stato digerito dai Vannini il docufilm in uscita sul loro figlio, Marco, ucciso il 17 maggio del 2015 in casa dei Ciontoli, a Ladispoli. Più che altro la modalità con cui è stato realizzato. «Nessuno ci ha avvisato prima, né ha chiesto un’autorizzazione per utilizzare il nome di nostro figlio», è quanto hanno affermato Valerio e Marina, rispettivamente padre e madre del giovane morto a 20 anni. Una tragedia che ha avuto negli stessi Ciontoli i colpevoli. Il 3 maggio 2021 la Cassazione ha condannato a 14 anni di carcere Antonio Ciontoli, sottufficiale della Marina con un incarico nei servizi e a 9 anni e 4 mesi per lo stesso reato il resto della famiglia: la moglie Maria Pezzillo e i figli Federico e Martina, quest’ultima fidanzata di Marco. Una storia su cui la Beskion Production, con regia di Carlo Fusco, ci ha costruito un docufilm dal titolo L’”espulsore” in uscita a breve su Prime Video ripercorrendo di fatto la narrazione della storia di cronaca nota nel Paese emersa dalle sentenze dei vari tribunali. «Una mancanza di buon senso – ribadisce Valerio Vannini – perché siamo stati chiamati per un incontro solamente dopo la realizzazione del film. Il regista ha sostenuto di essersi basato sui fatti processuali ma credo magari fosse importante sapere quello che avevamo da dire noi in onore della verità su quanto accaduto a nostro figlio». Interviene anche il legale dei Vannini. «Nè autori, produttori o registi – conferma Celestino Gnazi - hanno mai, in alcun modo, dato a nessuno di noi, e intendo i genitori di Marco ed io stesso, preventive informazioni o richiesto e ricevuto preventive autorizzazioni di alcun genere. Hanno ricevuto richieste di incontro a posteriori ma hanno sempre rifiutato». Il caso potrebbe non essere chiuso qui. «Marina e Valerio sono a meravigliati e turbati da una iniziativa evidentemente caratterizzata da finalità esclusivamente commerciali – conclude Gnazi - ci riserviamo approfondimenti ed adeguate iniziative».

©RIPRODUZIONE RISERVATA