CIVITAVECCHIA - Una corsa contro il tempo, come spesso accade quando scendono in campo le ong. La storia del salvataggio in mare aperto dei trentuno migranti arrivati a Civitavecchia la scorsa notte, è una storia come tante, fatta di miseria e sofferenza, di voglia di riscatto e necessità di sopravvivenza. Una storia che coinvolge vite umane di ogni età: ci sono famiglie, donne in gravidanza, minorenni non accompagnati il cui unico obiettivo è quello di mettersi in salvo, di sopravvivere alla fame e alla guerra. Il soccorso al largo delle coste di Malta lo ha raccontato chi lo ha vissuto in prima persona: il capitano della Aida Mari, Simón Vidal.

La ong ha intercettato i migrati lo scorso 15 febbraio: «Erano tutti a bordo di una barchetta di legno lunga meno di cinque metri - ha raccontato “el capitán” ai giornalisti che lo hanno avvicinato per intervistarlo - in condizioni precarie: disidratati, debilitati, sfiniti. Tra loro c’erano anche dei minori».

Una testimonianza importante, che ancora una volta pone l’accento sulla necessità di favorire le attività di soccorso in mare allo scopo di salvare vite umane.

https://youtu.be/F0nqfNmodSU

Missione compiuta per Simón Vidal e per l’Aita Mari, ora tocca alla Life Support di Emergency, che a quanto pare in mare aperto ha incontrato criticità maggiori rispetto all’altra nave ong e non soltanto per il numero di profughi soccorsi di sicuro più elevato.

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