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CIVITA CASTELLANA - «Di Mario mi piace ricordare il tratto umano, la sua gentilezza, il suo parlare sottovoce, quasi bisbigliare, in un mondo dove le urla erano di casa. Un modo di fare e di porsi che non significava arrendevolezza, anzi.
Mario era un comunista, un uomo di antiche e profonde convinzioni, di letture importanti, di orgoglio operaio ostentato». A parlare, in una nota, è Giancarlo Torricelli. «Me lo ricordo nitidamente - aggiunge - quando, in una sala stracolma a Civita Castellana, accolse Fausto Bertinotti, richiamandosi alla Civita “operaia e comunista”, come tentativo di tenere insieme la necessità di rifondare il pensiero della trasformazione con l’obbligo di non dimenticare mai la base sociale di riferimento, nonostante le difficoltà che progressivamente ne avevano minato la tenuta.
Mario, di fronte alla sconfitta sociale, prima ancora che politica, aveva fatto suo l’antico “provare e riprovare”, mettendo sempre al centro l’idea della ricomposizione di classe, come guida per una sinistra che avesse l’ambizione di trasformare l’esistente.
Mario era un uomo di compagnia (nel senso più vero e profondo della parola), che amava cucinare, che amava mangiare (i suoi adorati supplì..), che amava socializzare (quante volte le nostre interminabili riunioni di segreteria sono finite a notte fonda attorno ad una pizza a San Pellegrino a Viterbo), che amava raccontare, forse perfino incompreso tra noi calciofili, del suo grande amore per il rugby.
Con Mario non sono sempre stato d’accordo politicamente, fino alla rottura di Rifondazione nel congresso del 2009, ma ogni volta che ci siamo incontrati (fino a qualche mese fa) non è mai mancato l’affetto ed anche il gusto di ricominciare a parlare e a dissentire.
Oggi, su quel campo da rugby, in mezzo a tante facce di una diaspora che non si è mai ricomposta (che bello incontrare l’altro Mario delle nostre segreterie viterbesi..), mi è venuto in mente un verso di una canzone di De André che credo si adatti bene all’incontro con Mario, una trentina di anni fa, “è stato meglio lasciarsi che non esserci mai incontrati», conclude Torricelli.
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