«Realizzare il deposito nazionale di scorie nucleari nella Tuscia aggraverebbe una situazione già drammatica per l’incidenza delle malattie tumorali sul territorio della provincia di Viterbo».

A dirlo è la dottoressa Antonella Litta a nome dell’ordine dei medici-chirurghi e odontoiatri di Viterbo che, riprendendo un documento del 2021 che è stato citato sabato 4 maggio nell’evento di “Tuscia in movimento. No scorie radioattive”, ha spiegato i motivi scientifici del no assoluto alla struttura di conferimento dei rifiuti nucleari.

«La provincia di Viterbo, nello studio pubblicato sulle prestigiose riviste internazionali Science of the Total Environment e Nature Scientific Data – dice la dottoressa Antonella Litta - da un team di scienziati dell’Università degli Studi di Bari, dell’Università Alma Mater Studiorum di Bologna, del Cnr e dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, risulta la prima provincia del centro Italia- è in 11° posizione-, seguita da Roma in 18° posizione-, per mortalità da tumore».

Per questo e non solo, secondo la dottoressa Litta e l’ordine dei medici-chirurghi e odontoiatri di Viterbo, la realizzazione di un deposito di scorie nucleari non farebbe altro che aggravare i rischi di crescita delle patologie tumorali in un territorio già gravato da alti tassi di presenza di arsenico nelle acque, radon, alta presenza di pesticidi ed additivi chimici nelle colture e perdita di biodiversità per la diffusione degli impianti fotovoltaici.

«Le leucemie sul nostro territorio hanno un’incidenza statisticamente significativa per nuovi casi all’anno rispetto al livello nazionale - continua Antonella Litta - già solo questi dati, tralasciando quelli relativi alle altre patologie e ricoveri, ci devono obbligare ad un atteggiamento di grande prudenza. Da tenere ben presente infatti che l’elevata concentrazione del gas radioattivo radon, dovuta alla struttura geologica vulcanica dell’Alto Lazio, gioca un ruolo di primaria importanza proprio in patologie come il tumore del polmone e le leucemie che sono tra le patologie correlate anche all’esposizione a radioattività. Ospitare il deposito nazionale di scorie radioattive ad alta, media e bassa intensità, significa quindi aumentare per i residenti il rischio di esposizione ad elementi radioattivi e quindi il rischio di ammalarsi di patologie correlate in primis le leucemie».

La dottoressa Litta fa riferimento anche allo studio “Kikk”, un’analisi epidemiologica tedesca sui tumori infantili nelle aree adiacenti alle centrali nucleari. «Già da molto tempo questo studio ha mostrato – continua Litta - e aperto un dibattito scientifico che continua attraverso studi e ricerche, sul fatto che il vivere in prossimità di centrali nucleari possa determinare incremento dei casi di leucemie e cancro nei bambini. Poi la tragica esperienza dell’esplosione di uno dei reattori della centrale di Chernobyl, in Ucraina, nel 1986, con il suo strascico di morti e malati affetti da leucemie e cancro della tiroide dovrebbe essere di monito e far ponderare con grande attenzione scelte come quella proposta per il territorio dell’Alto Lazio». Si può aggiungere che il deposito nazionale di scorie nucleari sarebbe di fatto permanente (durata prevista almeno 350 anni) e, un territorio a rischio sismico come la Tuscia, la cui economia si basa essenzialmente su produzioni agricole di qualità e turismo locale, avrebbe un grosso contraccolpo d’immagine e di attrattività economica.