TOLFA - "Perché Giulia non sia l’ennesimo numero di una statistica vergognosa; perchè non rimangano accesi i riflettori e il clamore solo fino al prossimo femminicidio; perché sia l’ultima donna uccisa da una mentalità e da una cultura patriarcale". Ad esprimersi così la segretaria del Partito Democratico di Tolfa e consigliera comunale di opposizione, Sharon Carminelli, dopo l'effetto femminicidio che è stato compiuto nei giorni scorsi. Quello di Sharon Carminelli è un commenti che parte dell'omicidio di Giulia e che affronta in modo capillare il fenomeno del femminicidio. "Giulia, Francesca, Chiara, Luisa...non sono state uccise da un singolo uomo. Non sono state uccise dal compagno, dal marito, dal vicino di casa, dall’amante. Sono vittime di una società maschilista che non vuole rimuovere le cause, che non vuole rovesciare questo sistema di potere, perché è più facile trasformare in colpevole la vittima e la vittima il carnefice - sottolinea la Carminelli - Farlo, significherebbe dover mettere in discussione millenni di supposta supremazia culturale, morale, economica. Significherebbe riconoscere una responsabilità collettiva di questa strage e poi prenderne atto. "Nel nostro mondo un uomo è sicuro di sé, una donna è arrogante. Un uomo è senza compromessi, una donna è una rompicoglioni. Un uomo è assertivo, una donna aggressiva. Un uomo è stratega, una donna una manipolatrice. Un uomo è un leader, una donna ha manie di controllo. Un uomo è autorevole, una donna prepotente. Le caratteristiche e i comportamenti sono gli stessi, l’unica cosa che cambia è il sesso ed è in base al sesso che il mondo ci giudica e ci tratta diversamente. Ogni volta che parlo di femminismo c’è qualcuno che invariabilmente mi applica l’etichetta di “rabbiosa”, come se ad una donna non fosse permesso di provare rabbia senza che la rabbia diventi il suo stesso modo di essere": questo diceva Michela Murgia, riassumendo in poche righe le fondamenta culturali e le cause scatenanti i femminicidi. I pregiudizi, i luoghi comuni, questa subalternità accettata, e, se disapprovvata, silenziata e minimizzata. La mano di un uomo che sceglie in tutta coscienza di diventare assassino è armata e sostenuta da questa cultura, da questi pensieri. Da chi continua a pensare che una donna dovrebbe essere “più furba”, più scaltra, più vestita, meno provocante, meno ubriaca. Da chi questo messaggio lo veicola costantentemente ai giovani attraverso la televisione, i social e soprattutto certe cariche istituzionali. Da chi definisce "femminuccia", sottintendendo debolezza, un ragazzo che piange o un bambino che gioca con le bambole. Da chi, definisce una donna “con le palle”, sottintendendo coraggio e forza. Ha ragione Elena Schettin. I minuti di silenzio servono a poco. Non riportano in vita le vittime e non impediscono altre uccisioni: serve, invece, intervenire profondamente nella società. Cambiando il linguaggio, perché le parole dette si fanno pensiero e il pensiero diventa azione. Investendo nella scuola, nei teatri, nel cinema. La cultura è la più grande arma che abbiamo per distruggere i pregiudizi. Sostenendo e non tagliando i fondi per il supporto alle donne vittime di violenza. Sostenendo e non tagliando i fondi per la prevenzione e per la lotta alla parità di genere. E noi tutti, come rappresentanti delle istituzioni, come educatrici/i e insegnanti, come madri, padri, come cittadini, abbiamo il dovere di fare la nostra parte. Abbiamo il dovere di fermare queste stragi. Abbiamo il dovere di educare, cioè portare fuori, il meglio. E questo è possibile solo con l’ascolto, con l’accoglimento delle fragilità e delle sconfitte come momento di crescita, con l’educare all’empatia, al rispetto e al riconoscimento della diversità come valore, di ri-educare all’umanità".

©RIPRODUZIONE RISERVATA