Imprese artigiane, nella Tuscia calo del 4 per cento in un anno. È crisi nera per l’andamento dell’artigianato in Italia: la caduta libera è iniziata nel 2011 e non si è mai arrestata. Le conferme arrivano dall’ultimo report dell’osservatorio studi della Cgia di Mestre, che ha elaborato dati dell’Inps e, per le imprese artigiane attive, quelli di Infocamere e Movimprese.

Nella provincia di Viterbo si è passati dalle 8.144 imprese artigiane del 2023 alle 7.821 del 2024 con la perdita di 323 unità in un anno pari a un’emorragia del 4%. Questi dati fanno della Tuscia l’81esima in Italia per calo delle imprese artigiane nel 2024 e la meno esposta nel Lazio.

Il Viterbese, quindi, pur avendo una contrazione netta dell’artigianato non è tra le peggiori nazionali. Nel Lazio la peggiore area è quella romana con il calo del 5,9% (14° in Italia, da 65.904 imprese del 2023 a 62.040 del 2024). La seconda peggiore è la provincia di Frosinone con il calo del 5,3% (24° nazionale, da 9.476 unità a 8.971). Quindi c’è la provincia di Latina (43° in Italia, da 9.829 a 9.347 aziende artigiane) e, quarta, la provincia di Rieti (51° nazionale, da 3.865 a 3.685). A livello nazionale, tra il 2023 e il 2024, il calo maggiore è stato rilevato nella provincia di Ancona con un deficit del 9,4% (da 13.356 imprese artigiane a 12.102). Seguono Ravenna e Ascoli Piceno (-7,9%); Rimini (-6,9%); Terni e Reggio Emilia (-6,8%); Prato (-6,7%); Bologna (-6,6%); Forlì-Cesena e Modena (-6,4%).

Qualche freno alla netta flessione dell’artigianato in Italia è venuto, in edilizia, con il superbonus, ma è stato solo momentaneo. La Cgia spiega, per chiarire la situazione, che nell’ultima rilevazione ufficiale sono stati conteggiati 233 mila avvocati in Italia contro 165 mila idraulici: è un dato significativo per capire il trend della scuola degli ultimi decenni che ha promosso molto di più le iscrizioni presso i licei, considerati di formazione “superiore”, che gli istituti di formazione professionale, a torto considerati “rifugio” per chi non è portato agli studi.

Tra le cause maggiori del progressivo abbandono dell’artigianato, oltre al fattore scolastico, ci sono il progressivo invecchiamento della popolazione artigiana con scarso ricambio generazionale, la forte concorrenza della grande distribuzione, il commercio elettronico, la burocrazia, il boom del costo degli affitti (specie nei centri storici) e della tassazione locale e nazionale. Fanno eccezione, invece, nuovi settori artigianali come quelli del benessere e dell’informatica che hanno visto il costante aumento di professioni come acconciatori, estetisti e tatuatori (bellezza) e sistemisti, social media manager e addetti del web marketing (informatica). Insieme a loro sono stati riscontrati dati positivi anche per il settore alimentare per attività come gelaterie, gastronomie e pizzerie da asporto in città a vocazione turistica. Viterbo e la Tuscia, in particolare, dovranno puntare su quest’ultimo comparto per le caratteristiche territoriali ed economiche come il turismo di prossimità, l’offerta turistica basata su laghi, borghi, colline e ambienti incontaminati e l’ottima enogastronomia.

Tra le iniziative legislative nazionali, ideate per trovare soluzioni alla contrazione dell’artigianato, ci sono la riforma della legge quadro dell’artigianato (443/1985) con nuove misure come incentrare la disciplina sulla figura dell’imprenditore artigiano; rivedere i vincoli societari relativi all’impresa artigiana; definire il perimetro di attività del settore; valorizzare il ruolo formativo dell’artigiano/imprenditore; istituire una commissione consultiva per l’artigianato presso il Ministero del Made in Italy. Alta misura al vaglio del legislatore è l’istituzione di un reddito di gestione delle botteghe artigiane e commerciali per i centri minori di 10 mila abitanti.