di ENRICO CIANCARINI

Nell’autunno del 1934, lo scalo civitavecchiese si trasformò in un gigantesco set cinematografico dove Amleto Palermi, fra i più famosi e apprezzati registi italiani dell’epoca, girò Porto, un film ambientato nel duro mondo dei portuali e dei pescatori. La trama racconta di un uomo, un marinaio, che nel 1921 è ingiustamente accusato di aver commesso un crimine, non ben definito, ed è condannato ed inviato in carcere o al confino. Tredici anni dopo, nel 1934, ritorna nella sua città e riesce a dimostrare la sua innocenza e a ritornare in possesso della sua barca.

Del film fino a pochi anni fa si conosceva un’unica copia custodita alla Biblioteca del Congresso a Washington, confiscata nel 1941 quando l’Italia di Mussolini dichiarò guerra agli Stati Uniti. Qui l’ha riscoperta Elaine Mancini, appassionata studiosa del cinema italiano, che nel saggio Lettura di un film italiano antifascista realizzato durante il fascismo (pubblicato su Immagine. Note di Storia del Cinema, 1983) spiega:

“Contrariamente alla prevalente opinione, secondo la quale i film italiani realizzati durante il ventennio fascista erano commediole con telefoni bianchi o prodotti di propaganda, l’industria cinematografica italiana non fu affatto un fantoccio manipolato dal regime, né i cineasti furono acquiescenti agli indirizzi dettati dall’alto … molto spesso, questi cineasti ignorarono completamente ogni forma di controllo e riuscirono a realizzare e a far circolare film che contenevano un messaggio antifascista. Un esempio dei più tipici ne è il film Porto”.

A riprova di questo presunto antifascismo del film di Amleto Palermi, la studiosa americana cita il prologo del film, che nella versione italiana non ci sarebbe. Nelle prime scene si vedono “uomini affamati, malvestiti, dall’aspetto stanco, dormono o siedono per le strade … la macchina da presa si aggira tra quei volti inespressivi, quelle mani ciondoloni, quelle scarpe sfondate. Poi, d’improvviso, il gruppo si anima. Uno degli uomini rompe il silenzio, gridando: “Sbrighiamoci!”. Tutti attraversano il campo e si dirigono verso una porta luminosa, su cui la macchina da presa avanza, sino a permettere di leggerne la scritta: Ufficio emigrazione. Fine del prologo.

Il regista Palermi era consapevole che Civitavecchia era stata una delle principali piazze del sovversivismo italiano, appellata dai fascisti come “roccaforte del bolscevismo” e sede di uno dei più numerosi battaglioni degli arditi del popolo, i più decisi nella resistenza contro le squadre fasciste? In un’intervista durante le riprese civitavecchiesi, Palermi parla degli scioperi del 1919, poi la narrazione sarà spostata al 1921 ma sono gli anni del predominio rosso a Civitavecchia.

Guardando le immagini, in cui si può ammirare la Civitavecchia portuale ed integra degli anni Trenta del secolo scorso, allo scrivente sono venute in mente le foto segnaletiche degli arditi del popolo conservate nel Casellario politico centrale (CPC) che ha utilizzato per la copertina del volume Appunti di vite sovversive. Fra le comparse c’erano i sorvegliati? Amleto Palermi e il suo sceneggiatore Tommaso Smith, noto antifascista, vollero rendere un tacito omaggio alla resistenza degli arditi dal 1921 fino alla marcia su Roma? Sono mie suggestioni scatenate dalla visione del film ma da Porto emerge uno spaccato preciso della realtà portuale civitavecchiese in cui si muovevano portuali e marittimi di cui molti furono arditi del popolo tredici anni prima. Alcuni di essi scelsero di emigrare, in Francia e negli Stati Uniti prevalentemente, per amore della libertà e per sfuggire alla repressione fascista che rendeva impossibile per loro lavorare.

Elaine Mancini scrive che “protagonista è il porto ed i destini che esso guida”. Il film è certamente da vedere per l’accurata ambientazione civitavecchiese con la Rocca e la Calata in primo piano, con le gru e i portuali al lavoro, e per quei volti anonimi che ricordano quanto fu duro vivere a Civitavecchia durante il regime fascista per chi non condivideva il suo pensiero totalitario.

A corredo, riporto alcuni articoli contemporanei alle riprese che raccontano le vicende del film.

PALERMI STA PREPARANDO “PORTO”

“Porto, ecco il titolo del nuovo film, sarà una pagina della vita violenta e sana dei lavoratori di un porto di mare, di fronte alla drammatica bellezza di questo instabile elemento. La trama del film oggi in corso di sceneggiatura, è stata ideata da Amleto Palermi sui posti stessi, che saranno domani il naturale teatro sonoro del film: a Civitavecchia” (Eco del Cinema, N. 132, Novembre 1934 – XIII)

UN PORTO FOTOGENICO

“Civitavecchia, 5 notte. Il porto di maggiore importanza sulla costa laziale, Civitavecchia, in questi giorni assiste a una mobilitazione inconsueta. Da più di due settimane ‘si gira’; abbiamo interrogato Amleto Palermi.

È raro trovare altrove accentrati in si piccolo spazio tanti e così vari elementi, la possibilità di rappresentare la grande attività commerciale accanto all’umile e operosa vita del minor tonnellaggio e della piccola industria peschereccia. Vicino a silos modernissimi, costruiti qui dal Regime fascista, vive ancora intatta l’impronta della potenza pontificia, con gli archi di Alessandro VI e i portici e le banchine di Benedetto XIII. Da molto tempo avevo l’intenzione di condurre sullo schermo la potenza serrata e drammatica di una tra le nostre più grandi attrici italiane, Irma Gramatica. Il film è intitolato ‘Porto’: l’inizio si svolge nel1919, durante un periodo di sciopero; tutto è fermo, squallido, triste, abbandonato a frotte di monelli non sorvegliati che giocano, laceri e rissosi, ‘bimbi di guerra’, cresciuti senza disciplina paterna e partecipi inconsci del grigio momento che la Nazione stava traversando. Un uomo, condannato ingiustamente per omicidio, parte verso la prigione. Enorme contrasto fornisce poi la Civitavecchia del 1934. Il Regime pulsa con il suo ritmo vivificatore in questo porto dell’Urbe. Ritorna l’uomo che vedemmo partire. La trama del lavoro è appunto il suo cammino verso la dimostrazione dell’innocenza, verso il ricupero dei suoi beni, un veliero e un piropeschereccio, che durante la sua assenza un avventuriero gli ha usurpato”.

(La Stampa, martedì 6 novembre 1934)

“PORTO” Regia Amleto Palermi – Produzione S.A. Capitani Film

Amleto Palermi ha finito di girare le scene del film Porto, con Irma Gramatico, Camillo Pilotto, Elsa De Giorgi, Enrica Fantis, Giovanni Grasso, Nerio Bernardi, Piero Pastore, Massimo Ungaretti ecc.

La lavorazione si è svolta quasi completamente nel porto di Civitavecchia, sul veliero Ariella e su di un motopeschereccio viareggino, dove tutta la compagnia di attori, tecnici, collaboratori della Capitani Film si è trasferita per oltre un mese.

Civitavecchia, moderno sfocio commerciale dell’Urbe a mare, fiera al tempo stesso della sua architettura portuaria e militare, predisposta da pontefici come Alessandro VI e Benedetto XIII, presenta in superficie raccolta un passaggio, dove l’obiettivo dell’ottimo Brizzi ha inquadrato particolari di vedute, di albe, di tramonti, pieni di fascino per l’elemento maggiore che li domina: il mare, tutta la poesia del mare.

Film di natura dunque, dove la poesia, la gioia, il dramma del mare circoscrivono una umana e drammatica vicenda di popolo, in cui le irose passioni, gli scioperi, le serrate, le violenze del 1919 danno posto alla vita operosa, serena, proficua del bel porto tirreno dell’anno XIII”.

(Eco del Cinema, N. 133, Dicembre 1934 – XIII)

Un nuovo film italiano in lavorazione. Porto di Amleto Palermi

“Siamo in un piccolo porto d’Italia – nel 1921 – durante i più facinorosi ed incomposti moti delle folle: ovunque desolazione ed abbandono; darsene deserte, velieri disarmati, grue e paranchi immobili. Lungo le banchine, fitte teorie di disoccupati in tragico vagabondaggio. Poi un vapore che salpa: su di esso, come forzati alla catena, emigranti che lasciano il caro suolo della Patria ed esprimono in un canto di nostalgia di cui hanno gonfio il cuore.

Poi una vera catena di galeotti, spediti alle varie case di pena. È tra di essi Mastrovanni, un innocente. Vittima di un errore giudiziario e della perfidia dei veri colpevoli, egli sconterà tredici anni di reclusione.

Rivediamo il medesimo porto ma nel 1934, sonante di vita, fervido di opere, ricco di traffico. Gli uomini sono stati richiamati alla dignità del lavoro. Una luce nuova è discesa nelle loro anime e tutto è bello e diverso. (La Stampa, sabato 26 gennaio 1935)

ANTIFASCISTA. Riscoperto “Porto”, film del ’35 contro la dittatura.

Roma. Un film italiano antifascista, realizzato durante il fascismo (di cui esiste soltanto una copia d’epoca presso la Cineteca nazionale), è stato ‘riletto’ da una ricercatrice americana, Elaine Mancini, che ne riferisce nel quinto numero della rivista Immagine – Note di storia del cinema, pubblicato a cura dell’Associazione italiana per le ricerche di storia del cinema.

Si tratta di Porto di Amleto Palermi, del 1935, con Irma Gramatica, Camillo Pilotto e Elsa De Giorgi, nel quale si parla di un uomo accusato di un delitto (non specificato) e condannato a 12 anni di confino. A detta della ricercatrice americana (la quale tiene conto del fatto che la sceneggiatura è firmata da Tommaso Smith, noto antifascista), il protagonista non ha commesso un comune crimine, bensì un crimine contro lo Stato per cui dovrebbe andare in prigione, ma la prigione non si vede: il che fa pensare che sia stato confinato.

Appare quindi evidente, anche per altri elementi, che il misterioso delitto sia di carattere politico. Quando il suo autore ritorna dal carcere scopre che un fascista comanda su tutti, con le minacce, con la forza, e si è appropriato di beni altrui. La soluzione della vicenda non è la vendetta ma un’astuta soluzione politica. Un messaggio sovversivo – rileva Elaine Mancini – è, comunque, presente nel significato riposto del film.

Porto venne ostacolato in vari modi, violentemente scoraggiato dalle veline della direzione generale della cinematografia.

Il giudizio del Centro cattolico cinematografico – ricorda ancora Immagine – Note di storia del cinema – fu duro: Realizzazione piuttosto mediocre di una vicenda non certo edificante da correggere in varie parti prima di renderlo accettabile nelle nostre sale.

A detta della Mancini, Porto, aveva un ‘prologo’ che poi nelle copie italiane, subito dopo la ‘prima visione’ venne soppresso, consisteva in uno spaccato di vita portuale che dava tutta l’atmosfera al racconto che stava per iniziare: un ambiente di disperazione, uomini affamati, malvestiti, dall’aspetto stanco, i quali dormono o siedono per le strade, inebetiti tra le tenebre, come in attesa. Non parlano tra di loro, non c’è individuazione dei personaggi: sono un anonimo gruppo di reietti, la cui vita sembra ridursi alla mera sopravvivenza.

Il prologo di Porto oltre a costituire una suggestiva cornice alla vicenda film, era anche una sfida abbastanza coraggiosa all’atteggiamento del regime contro l’emigrazione, infatti esso si chiudeva con la visione di quegli uomini che all’improvviso si animavano e si dirigevano verso una porta dove era scritto ‘ufficio emigrazione’. (La Stampa, martedì 7 febbraio 1984)

Trent’anni dopo, nel 1964, la giovane protagonista del film, Elsa Di Giorgi non più attrice ma colta studiosa della letteratura italiana ed europea, partecipò al Congresso stendhaliano che si svolse a Civitavecchia. La sua relazione era intitolata semplicemente Stendhal ed iniziava così: “Come l’amatissimo Mozart, Stendhal ha capito l’Italia attraverso il melodramma”.

Elsa De’ Giorgi e Silvio Serangeli avrebbero avuto molto da dirsi, sul cinema e su Stendhal.

Un particolare grazie a Gianfranco Fusato che mi ha messo a disposizione il film; a Stefano Foschi per il supporto tecnico; alla Cineteca nazionale per la pronta e cortese disponibilità dimostratami.