Don Ivan Leto*

La IV domenica di Quaresima è chiamata "della gioia", poiché già intravediamo all'orizzonte, l'esultanza della Pasqua. Domenica scorsa, ci siamo soffermati sul simbolo dell'acqua. Oggi meditiamo sul simbolo della luce, un tema molto caro all'evangelista Giovanni. La guarigione del cieco, come ogni miracolo, rimanda all'altro. Non bisogna fermarsi alla sola guarigione fisica. Cristo si offre come luce in un mondo buio. Perché, quando vivi il male sei nelle tenebre. Pensiamo al momento della passione: "Giuda, dopo aver tradito Gesù, uscì fuori e fu notte". Pensiamo allo stile di vita di un cieco. Non vedendo non ha fiducia di chi gli sta attorno e ciò lo porta a chiudersi in se stesso. Non c'è nulla di illuminante nel rinchiudersi in se stessi. Noi siamo nati per

rendere manifesta la luce che c'è dentro di noi. Se non lasciamo splendere la nostra luce diamo alle altre persone il permesso di fare lo stesso. Appena ci liberiamo dalla nostra paura, la nostra presenza libera gli altri. Il cieco nel testo di Giovanni non chiede nulla: egli neppure sospetta che possa guarire, perché essendo nato nella cecità, ignora del tutto la luce. E Gesù, in questo caso, che prende l'iniziativa di accostarsi a lui e lo fa compiendo un gesto creazionale: con un po di terra e con la propria saliva fa del fango, con cui gli unge gli occhi e con questo gesto annuncia che è venuto a creare una nuova umanità. L'uomo guarito è invitato a immergersi nell'inviato (la piscina di siloe, nome la cui radice è la medesima del verbo ebraico che significa "inviare"). Un itinerario che diviene vita; vita di luce e capacità di trovare in sé stesso la forza e il modo per vivere senza più paura di nulla e di nessuno.

*Don Ivan Leto

sacerdote della Diocesi

Civitavecchia - Tarquinia